Molto prima che “il mondo come lo conosciamo” fosse salvato da eroi composti da miliardi di poligoni, tenuti in piedi da hardware che rasentano il KiloWatt di consumo, un alquanto inetto giornalista di cronaca nera, ci ha evitato un’invasione aliena. Correva l’anno 1988 e il nostro salvatore porta il nome di Zak McKracken.
Il gioco ha luogo nell’anno 1997: il mondo è minacciato da una terribile macchina aliena che, tramite televisione e telefono, manda segnali che rendono gli umani più stupidi, facendone materia di più facile manipolazione e conquista – uno scenario peraltro di un’attualità imbarazzante.
Come in ogni salvataggio del mondo che si rispetti, anche nel celebre titolo della Lucasfilm Games, l’eroe vi è coinvolto in modo casuale: inviato dal suo giornale, il National Inquisitor, a dare la caccia ad uno scoiattolo a due teste, Zak s’imbatte in un cristallo che, guardacaso, si rivelerà fondamentale per il destino del pianeta.
Zak McKraken and the alien mindbenders è un grande esponente di un genere perlopiù scomparso dalla produzione recente: si tratta infatti di un’avventura point&click, stile Monkey Island, in cui il protagonista si trova all’interno di ambienti finiti, con una serie limitata di oggetti con cui interagire e una gamma ristretta di azioni da compiere. Limiti che tuttavia non gli impediscono di essere un capolavoro.
Dal punto di vista grafico il gioco, uscito per Commodore 64 e quindi migrato a piattaforme più performanti come Amiga , Atari ST e infine FM Towns, non è esattamente stupefacente,specie in rapporto alle potenzialità dei sistemi a 16bit.
Una volta familiarizzati con la struttura di comandi, il gameplay, per quanto piuttosto lineare, è assolutamente piacevole ed esilarante, ricco di quegli spunti umoristici con un tocco di un nonsense che sono un marchio di fabbrica della produzione videoludica della mitica Lucasfilm.
Interessate ricordare che il motore del gioco è il celebre SCUMM (script creation utility for maniac mansion), creato per l’appunto per la realizzazione di Maniac Mansion, la prima avventura point&click della Lucasfilm (oggi LucasArts), comune ad altri titoli come per l’appunto Monkey Island, Indiana Jones and the last crusade, Loom, attorno cui a tutt’oggi ruotano molti progetti di programmatori nostalgici del point&click.
Il gioco è frutto della mente geniale di David Fox, che in un’intervista del 2005 non ha mancato di sottolineare quanto il processo di sviluppo di videogiochi, un tempo, permettesse alla fantasia dei creatori di spaziare al 360°, senza sottostare ai diktat degli uomini di marketing, pressati a loro volta da budget multimilionari.
Il costo di sviluppo di questo pezzo di storia del gaming, ammontò infatti a soli 100.000 dollari USA e, curiosamente, nel business plan del progetto giocava un ruolo fondamentale anche la vendita del libro con la soluzione – da cui la necessità del gioco di essere sufficientemente lungo e complesso.
100.000 dollari, circa 320k su floppy per C64, decine di ore di gioco e, soprattutto, un posto nella storia. Anche con milioni di dollari a disposizione, quanti giochi moderni riusciranno a fare altrettanto?
Vi ricordo che il gioco, che recentemente ha compiuto 20 anni, è ampiamente disponibile sulla rete per l’emulazione, ma attenti: scaricandolo ed eseguendolo commetterete un reato punito dalla legge… Zak, forse abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto!