Nel 2003, il vice presidente di IBM, predisse la fine di AMD nel corso del 2008. Le motivazioni addotte a una tale catastrofica previsione, non furono completamente infondate, anche se la storia si è rivelata un po’ più complicata.
Il calo di competitività delle CPU forgiate da AMD fu indovinato, ma va inserito in un contesto più ampio. È una brutta storia che ebbe inizio nel mese nell’ottobre del 2006, quando il chipmaker acquisì ATI, con un esborso complessivo di 5,4 miliardi di dollari.
Le CPU della famiglia Barcelona, uscirono con eccessivo ritardo, e senza portare grandi vantaggi prestazionali rispetto alla generazione precedente, mentre Intel prendeva sempre più il largo.
A a circa 10 mesi dal lancio delle CPU Barcelona, una AMD sommersa dai debiti e incapace di reagire ai colpi di Intel si presenta con una riorganizzazione societaria, con la promessa e la volontà di tornare a competere ad armi pari con il colosso californiano, e i primi segni si sono già visti.
Torniamo indietro al 2006, muovendoci a ritroso, per comprendere dove hanno avuto inizio i problemi di AMD. Se la lentezza nello sviluppo di nuovi prodotti, nonché i risultati prestazionali non entusiasmanti, possono essere, almeno in parte, la conseguenza di una società sommersa di debiti che si trova a dover investire su molti fronti diversi (CPU, GPU, chipset i settori principali), l’acquisizione di ATI, causa primaria dei bilanci disastrosi che hanno portato AMD sul lastrico, considerata un errore di valutazione dagli stessi vertici dell’azienda, era comunque resa necessaria e inevitabile.
Prima della fusione tra la società texana e la canadese ATI, AMD era già in una situazione abbastanza problematica, causata da parnership deboli nel comparto chipset, che da qualche tempo non erano più all’altezza delle punte di diamante della produzione del chipmaker.
Nella consapevolezza poi, che la sezione grafica dei futuri elaboratori avrebbe rivestito sempre maggiore importanza, con l’avvento del GPU computing in ambito professionale e con l’integrazione di GPU sempre più frequente nei chipset e, in futuro, all’interno delle stesse CPU, AMD non poteva fare altro che correre ai ripari.
L’acquisizione di ATI quindi, non è stata una mossa sbagliata in se, ma la nuova struttura societaria si rivelò presto un gigante dai piedi di argilla.
Il calo di competitività che ne seguì in tutti i settori coperti da questa nuova realtà lo troviamo documentato dettagliatamente negli ultimi due anni di news e articoli di Hardware Upgrade.
Finalmente, dopo mesi e mesi di stallo in cui AMD non riusciva a suscitare che preoccupazione tra gli appassionati, lo scorso ottobre è arrivata la notizia del nuovo riassetto societario.
Una manovra finanziaria e riorganizzativa radicale, che ne trasforma la struttura per la seconda volta nel giro di poco più di un anno. Con questa mossa si chiude una metamorfosi durata circa due anni, che dovrebbe riportare AMD a lottare per il primato tecnologico.
Come spiegato già benissimo da Paolo Corsini in un suo editoriale, AMD ufficialmente non è più un produttore di microprocessori, avendo ceduto le fonderie in funzione e i diritti di costruzione del futuro stabilimento newyorkese ad una neonata società, appartenente per il 45% circa di AMD stessa e per il resto a dei finanziatori di Abu Dhabi.
Questa astuta manovra porta soltanto vantaggi. La vendita degli stabilimenti scrolla di dosso dalla compagnia americana una situazione finanziaria difficile, che può così investire nel rilancio.
Una comunque forte presenza di AMD in The Foundry Company (questo il nome della società che sfornerà wafer) comunque permette alla prima di esercitare un controllo sulla seconda, mantenendo uno stretto legame tra progettazione e produzione.
Non solo, AMD per quanto azienda di spicco nei settori che occupa, finanziariamente e per numeri di produzione e di vendita è un moscerino rispetto a Intel. Essendo presente in molti meno settori rispetto al colosso californiano, quindi risultava sicuramente più difficile per AMD ammortizzare i costi di mantenimento degli stabilimenti nei momenti in cui i dati di vendita e margini oscillavano verso il basso, per esempio in corrispondenza di lanci da parte del suo principale concorrente.
La cessione del comparto produttivo a The Foundry Company, permetterà di aprire la produzione anche a nuovi clienti, così da mantenere alta la produttività anche in fasi di stallo per le vendite di CPU texane, guadagnando sulla produzione destinata a terzi, grazie ad una grossa fetta societaria che a questa appartiene.
Sulla carta dunque, il piano di rilancio sembra ben ideato, poi il tempo, com’è ovvio, ci dirà la sua versione dei fatti.
Una nuova ventata di ottimismo arriva anche da Shangai, presentato per ora nella declinazione Opteron, dedicata a server e workstation, perché è proprio questo il settore che interessa maggiormente AMD, visti gli alti margini che si possono ottenere rispetto ai settori desktop e mobile e la fiducia che gode da parte di alcuni importanti partner, conquistata a suo tempo grazie alla bontà dei primi Opteron.
Le conquiste prestazionali di questo settore poi, com’è ovvio e solito per AMD, verranno riversate sul resto della produzione: arriveranno presto i Phenom II x4 e a gennaio verranno presentati i primi mini notebook con CPU Conesus, ovvero un adattamento degli Athlon 64 x2 costruiti con tecnologia a 65 nm, ottimizzati per avere un TDP contenuto in 25W.
Presentare tre linee diverse di CPU in così poco tempo è sintomo di una ritrovata salute, poiché i lanci commerciali hanno un importante peso sui bilanci, specialmente in un contesto in cui c’è necessità di rinverdire un’immagine che ha sofferto della scarsa competitività degli ultimi tempi.
A qualcuno non piace però l’intenzione di AMD di non entrare nell’affollata mischia dei netbook. Questo settore è però ancora poco maturo e definito e richiederebbe un forte investimento per lo sviluppo di una CPU dedicata, che necessiterebbe un enorme sforzo ingegneristico per il suo sviluppo, sarebbe quindi una scommessa difficile da vincere.
È meglio forse per il momento che AMD rimanga su terreni che meglio conoscerne, impegnata com’è a soddisfare tutti i cambiamenti che il mercato richiederà, premendo tra l’altro il piede sull’acceleratore e accorciando i tempi sulle roadmap.
A dicembre inoltre, le schede grafiche basate su chip ATI della fortunata serie 4000, grazie al rilascio di nuovi driver Catalyst, diventeranno general purpose, proiettando di diritto il marchio ATI nella galassia delle GPGPU, per iniziare la rimonta nei confronti di nVidia anche in questo nascente e promettente settore.