Atari è un marchio che fa senz’altro parte dell’Olimpo della storia dei videogiochi. E chi ha vissuto una certa epoca (anni 70 e 80) non può non aver visto comparire il suo nome in almeno in una presentazione delle macchine che popolavano le sale giochi di una volta.
Ma anche i grandi, i migliori sbagliano.
E il Lynx per quanto pensato con tutte le migliori intenzioni fu un flop clamoroso.
La moda di utilizzare i nomi della famiglia dei felini per contraddistinguere i propri prodotti venne in mente ad Atari ben prima di Apple, ma purtroppo non fu una scelta allo stesso modo fortunata.
Quali furono quindi le cause di questo buco nell’acqua, per una console che può fregiarsi ancora oggi del titolo di prima a portare sul mercato i colori nel segmento portatile?
Prima di procedere cerchiamo di definire il contesto in cui ci muoviamo.
Siamo alla fine degli anni ’80 e tutti i colossi del settore hanno rilasciato o stanno per farlo i propri cavalli di battaglia e che contraddistingue una nuova età dell’oro, dopo quella avutasi un decennio prima.
Si intuisce che per le esigenze di mobilità, catturare quel pubblico sempre in movimento (chi per lavoro, per studio o altro) è fondamentale per aprirsi nuove possibilità di crescita aziendali.
Nintendo aveva bruciato tutti, seppur di poco, proponendo il proprio Gameboy nell’aprile del 1989 (e che si rivelò poi la sua ancora di salvataggio). Ma Atari non era rimasta con le mani in mano e aveva il proprio asso nella manica da giocare: solo pochi mesi più tardi, il Lynx faceva la sua comparsa sul mercato e costituiva una vera e propria rivoluzione.
In realtà pochi ricordano che la progettazione e sviluppo della console fu originalmente di Epyx (publisher “defunto” nel lontano 1993) che già nel 1986, causa gli alti costida sostenere, cominciò a cercare dei partner che si occupassero della parte di packaging e marketing mentre lo sviluppo sarebbe rimasto in mano ad Epyx stessa.
Dicevamo? Rivoluzionaria. Sì perché non solo il Lynx proponeva uno schermo a colori ma altre caratteristiche tecniche di tutto rispetto, in grado di rivaleggiare con i prodotti alter-ego da salotto.
Andiamo ad elencarle:
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CPU: MOS 65SC02 con clock a 4Mhz
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RAM: 64K DRAM
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Video: schermo LCD con risoluzione 160 x 102 pixel a 4096 colori di cui 16 visualizzabili contemporaneamente (cambiando palette il numero però poteva aumentare)
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Audio: coprocessore dedicato a 8 bit 4 canali Mono (Stereo per il Lynx II)
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Supporto: cartuccia da 2MB (quantitativo mediamente utilizzato)
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Autonomia: 5 ore circa con un set di batterie
La CPU come avete potuto leggere nell’articolo di Cesare di Mauro è stata una di quelle più utilizzate dalle console di quel periodo, ovvero la terza e quarta generazione degli 8 e 16 bit (per quella comunemente conosciuta come 16 aveva la funzione in realtà di processore dedicato ad esempio nel campo audio con il Sega MegaDrive).
Tutti questi componenti, alcuni dei quali veramente lo stato dell’arte dell’epoca e misere 500 mila unità vendute in tutto il suo ciclo di vita? Com’è possibile? Dove sono i lati negativi?
Cominciamo dal primo, banale, ma assolutamente visibile. Il design. L’occhio vuole la sua parte, non è solo un’espressione pour parler, specialmente se io acquirente la devo scarrozzare in giro per i mezzi pubblici. Ed è un design orribile, assolutamente poco ergonomico e con molte parti “morte” che contengono sì elettronica ma occupano spazio inutilmente ai fini di un uso comodo. L’esatto opposto del Gameboy tanto per capirci.
In secondo luogo è stato un problema di marketing. Atari non riuscì sostanzialmente a conquistare i favori dei third-party e da lì la mancanza di titoli di spessore.
A causa di questi fattori Atari non solo fu rigettata dal mercato in favore della Nintendo ma riuscì a farsi superare anche dal Game Gear, rilasciato due anni più tardi ma con caratteristiche hardware inferiori (lo schermo non era in grado di visualizzare ad esempio i medesimi effetti di sprite-scaling e distorsione né di collisioni potenzialmente illimitate tra sprite) e soprattutto una autonomia che era assolutamente insoddisfacente.
Un gran peccato, che contraddistinse l’inizio della parabola discendente di una grande del mondo dei videogiochi e l’occasione mancata di un prodotto che avrebbe potuto essere degno rivale del GameBoy.