Da qualche tempo i biocarburanti tengono banco come alternativa ecologica e per molti aspetti conveniente, ai derivati del petrolio. Da un lato promettono di svincolare, almeno in parte, le economie occidentali dai sempre più problematici approvvigionamenti di petrolio nell’area mediorientale – non a caso negli USA i terreni destinati alla produzione di biocarburanti hanno già superato per estensione quelli destinati all’alimentazione. Dall’altro forniscono anche ai paesi più poveri e sprovvisti di giacimenti di oro nero, la possibilità di creare risorse energetiche per il consumo interno.
Su queste rosee prospettive è caduto pochi giorni fa come un fulmine a ciel sereno, un rapporto delle Nazioni Unite, redatto dall’esperto Jean Ziegler, che fondamentalmente inquadra i biocarburanti come un “crimine contro l’umanità”. La crescente domanda di biocarburanti, secondo l’analisi di Ziegler ma anche secondo il WSJ, ha prodotto infatti un significativo innalzamento di prezzo dei prodotti agricoli destinati all’alimentazione. I primi a soffrire di questi aumenti sono stati e sono ovviamente i paesi più poveri: sempre secondo i calcoli di Ziegler, 280 Kg di mais, sufficienti per alimentare un bambino del Messico o dello Zambia per un anno, bastano a produrre appena 49 litri di carburante – quanto serve a una Hummer per fare circa 200 chilometri.
A conclusione della sua analisi, Ziegler auspica un blocco di 5 anni alla produzione di biocarburanti, in attesa che la tecnologia evolva in modo da destinare a quest’uso solo gli scarti della produzione alimentare. Nel caso, in verità molto probabile, che queste indicazioni restino inascoltate, converrà forse prendere in considerazione l’uso di biocarburanti anche per l’alimentazione umana.
Anche in questa ipotesi, andrebbe valutato il problema delle emissioni: uno studio condotto dal premio Nobel Paul Crutzen, dimostra che l’alimentazione a biocarburante aumenta notevolmente, invece che ridurre, la produzione di gas serra.