Non solo a Sony, anche Microsoft e Nintendo non vedono di buon occhio le console modificate tanto da mettere da parte la loro rivalità e unirsi per combattere i produttori di mod chip.
Non è una questione di facciata, tanto meno un subdolo piano di marketing per poi invogliare sottobanco alla modifica e vendere piu’ hardware. I manufacturer (Nintendo parzialmente esclusa), non guadagnano dalla vendita dell’hardware delle console, ma dalle royalty che i publisher di videogiochi devono pagare per poter pubblicare un gioco su una di queste piattaforme proprietarie.
Ecco, inoltre, spiegato perché un gioco per console costa mediamente una decina di euro in più della stessa versione per PC, dove le royalty non sono dovute.
La leggenda metropolitana secondo la quale Sony, ad esempio, vorrebbe incoraggiare la modifica delle sue console per poterne vendere di piùè’, per l’appunto, una leggenda priva di fondamento: una console modificata equivale ad una perdita secca perché non garantisce ritorni in termini di royalty.
Il modello di business sul quale si basa il mercato delle console consiste nel vendere l’hardware sotto costo (o al più alla pari) per invogliare la penetrazione nel mercato e per generare un feedback positivo: più console sul mercato, più i produttori di videogiochi sono invogliati a produrre per quella console, più giochi sono venduti, più royalty sono incassate. A fronte di un investimento iniziale si cerca un ritorno successivo.
Nintendo in questa generazione rappresenta una piccola anomalia in quanto il Wii non è venduto sotto costo: Nintendo ricava un profitto su ogni unità venduta a causa del bassissimo costo di produzione del Wii, basato di proposito su hardware datato, ma presentato al pubblico per via del suo controller innovativo. Fino ad oggi questa politica sta dando ragione a Nintendo dal punto di vista puramente commerciale. Gli altri due competitor si adegueranno al prossimo giro?