Molto e molto a lungo si è discusso del contributo di Internet alla macchina culturale. Spesso si definisce la rete come il luogo della libertà assoluta e della conoscenza totale: tanto che il problema non è più lo strumento, così universale e polimorfico da risultare al di sopra del bene e del male, ma colui che lo consulta , e dalla rete estrae informazioni secondo percorsi personali. Percorsi del tutto distaccati dal filtro selettivo operato da giornalisti, saggisti, esperti, i quali diffondono i loro contenuti attraverso i formati della comunicazione classica.
La ribalta di un TG per esempio, “illumina” una frazione di mondo, selezionata in base a criteri predefiniti – cui la manipolazione non è affatto estranea. Al navigatore che si pone davanti al motore di ricerca, tocca invece estrarre dall’enciclopedia universale della rete le porzioni che gl’interessano.
Egli riassume il ruolo di caporedattore della testata, direttore del TG, comitato scientifico dell’enciclopedia, curatore della collana di libri: in poche parole autore della frazione di cultura cui accede.
Molti hanno cantato senza sosta le magnifiche sorti e progressive del diventare giornalisti di se stessi. Piccolo problema: potremmo finire per diventare molto più ignoranti e ottusi di quel che siamo.
So bene che questo terreno è estremamente fertile per tanti tromboni inclini alla strumentalizzazione. L’abilità degli affabulatori consiste innanzitutto nel distorcere fatti e opinioni altrui a proprio vantaggio. Chiarendo il percorso che mi ha portato a queste conclusioni spero di sottrarmi, almeno in parte, a questa trappola.
Nell’enciclopedia universale, la selezione diventa un fattore critico, come Eco ricorda spesso: in rete il nobel e l’ultimo dei blogger sono potenzialmente nella stessa pagina dei risultati di un motore di ricerca.
Questo pericolo si dispiega in tutta la sua potenza per l’appunto se lo si osserva dal punto di vista dei motori di ricerca. Innanzitutto la ricerca di informazioni attraverso i motori, rispetto alla consultazione di un prodotto editoriale, rende più opaco il ruolo dell’autore di quei contenuti, deresponsabilizzandolo rispetto alle posizioni che esprime: troppo grande e diluito è il calderone in cui il suo contributo va a finire.
Chi legge un editoriale di Scalfari o di Feltri sa bene o male cosa aspettarsi e ne riconosce la distinta paternità. All’inverso, il reperimento di una notizia al di fuori di un contesto ben connotato, spersonalizza il contenuto, lo trasla per l’appunto in un percorso di cui il solo lettore è autore.
È pur vero che la disinformazione più pericolosa è quella che non ha nulla di formalmente scorretto, mentre anche i contenuti formalmente meno convenzionali possono portare frammenti d’informazione utili.
L’ingresso nel gioco di algoritmi che innalzano la popolarità di un articolo in base a quanti visitatori l’hanno trovato pertinente rispetto ad una data chiave di ricerca, aggiunge un elemento di rottura e comunque di forte complessità, perché presuppone la risposta a una questione su cui generazioni di filosofi dibattono da secoli: l’intelligenza della massa.
L’intelligenza della della massa dei visitatori nello scremare contenuti pertinenti da contenuti inutili, è fondamento costituzionale dei motori di ricerca dell’attuale generazione ma non sono pochi i casi in cui, nel volgere di un istante, la più enorme delle sciocchezze è stata elevata alla dimensione di un quasi disastro.
In questo senso, la ricognizione della pertinenza di un testo in base all’analisi semantica, fornisce risultati perlomeno più neutrali. Ai cantori della della cultura aperta e democratica che a questo punto avranno già impugnato il machete, mi piace ricordare che la massa ha assimilato Epicuro all’idea di “mangia, bevi e non fare un ca***”.
Fa dunque rabbrividire il pensiero di quante perfette idiozie, scritte da idioti e lette da persone semplicemente non in grado di farsi un’opinione, popolino le prime pagine dei risultati forniti dai motori di ricerca. A poco valgono, e poco pesano nel computo del totale, le smentite.
C’è un ulteriore falla nel sistema d’informazione pull, particolarmente in rapporto ai motori di ricerca. Viene fuori in maniera evidente quando alle chiavi di ricerca si aggiungono delle connotazioni, dei giudizi.
Cercando “Sarah Palin” viene fuori una valanga di risultati, tra cui informazioni biografiche e le più varie opinioni. Se già è difficile trovare in mezzo a questo caos quel che interessa, ed accertarsi che si tratti di informazioni attendibili e imparziali, immaginiamo cosa succederebbe se si cercasse “Sarah Palin idiozie”, magari sull’onda di certe affermazioni concernenti la Russia.
Ugualmente si presenterebbe al visitatore una pletora di risultati, ma polarizzati: informazioni la cui numerosità rafforzerebbe l’intensità di una convinzione che esisteva già a monte – denotata dalla selezione della parola chiave. La risultante di questa ricerca sarebbe perciò un’informazione unidirezionale, capace di mutare l’intensità di un’opinione ma incapace di invertirne la direzione.
L’informazione che ne verrebbe fuori sarebbe vittima di logiche del tutto analoghe a quelle di taluni TG palesemente schierati, che non si pongono minimamente l’obiettivo d’informare: mirano semplicemente ad indottrinare un pubblico che, già per il fatto di averli preferiti ad altri, si candida all’indottrinamento.
Torniamo quindi al punto di partenza: sulla pagina bianca di un motore di ricerca si riflette pienamente il navigatore, farcito di pregiudizi e preconcetti che dalla ricerca in rete possono più facilmente uscire rafforzati che contraddetti. Non è da darsi per scontato infatti che il navigatore possegga la sincera intenzione di accrescere la sua cultura – piuttosto che confermare le sue idee – e che, soprattutto, abbia gli strumenti per farlo.
La psicologia sociale da anni ha isolato e analizza i filtri selettivi che ognuno pone a difesa delle sue opinioni. Filtri la cui resistenza è proporzionale alla difficoltà sociale e individuale insita nel cambiare opinione.
Viceversa in una lettura sequenziale, secondo un percorso predeterminato da un autore terzo, è più facile incontrare, pur partendo dalla ferma intenzione di dimostrare a se stessi l’ipotesi che si ha in mente, informazioni che quelle ipotesi potrebbero contraddire.
Per i pochi superstiti giunti fino a qui è tempo di concludere: davanti alle praticamente infinite informazioni cui la rete dà accesso, il navigatore è come in un deserto, in cui ogni direzione è potenzialmente quella giusta o quella più sbagliata. Anche per chi sa orientarsi, pochi sono nel deserto i segni che recano un vero significato.
Il parallelo, citato da Eco, fra Internet e la memoria infinita di Funes, personaggio immaginario, la cui mente è piena di dettagli inutili poiché incapace di dimenticare, non è dunque l’unico che riconduce la rete alle illuminanti visioni di Borges.
Il quale ha definito il deserto un labirinto senza pareti: privo perfino di quelle guide solide che, pur limitandoci il passo, magari una sola volta su mille, possono restituirci la libertà – o perlomeno qualche elemento concreto per intuire di esserle più vicini.
PS Questo post fa il paio con Il teorema della rete, pubblicato qualche mese fa, che esprime posizioni quasi radicalmente opposte. In che rapporto vive questo secondo post col primo? Parzialmente nasce da un’evoluzione delle mie posizioni, parzialmente, direi soprattutto, rappresenta l’altro lato di una medaglia che non riesco ancora a decifrare. Secondo un metodo piuttosto accreditato nella filosofia occidentale, dovrei prima o poi scrivere un terzo post, contenente una sintesi. D’altro canto ho l’impressione di essere ben lungi dall’aver esaurito le sole tesi…