Il titolo sintetizza bene i tre stati che hanno pervaso Apple da luglio a oggi, uno stato di confusione mentale che sembra ormai avviato a risolversi in modo positivo; il Non-Disclosure Agreement (NDA), la clausola che limita la possibilità di divulgare informazioni riguardanti un contratto o un accordo, delle applicazioni create dagli utenti e vendute tramite iTunes era stata estesa proprio in luglio fino a comprendere anche i motivi del rifiuto di Apple alla pubblicazione delle applicazioni.
In sostanza la situazione era: hai lavorato un sacco per questa applicazione, non te la pubblico e non puoi nemmeno dire in giro perché.
Ovviamente la prima reazione è stata di rabbia, perché molti sviluppatori si sono sentiti imbavagliati da questa cieca politica di controllo totale e perché l’estensione della NDA sembrava fatta apposta per non far sapere al mondo che qualcuno potrebbe aver sviluppato applicazioni migliori di quelle di default dell’Iphone e che Apple le aveva rifiutate.
Grande fermento nel mondo dei blog, un sacco di domande senza risposte, e alcune logiche conseguenze come la transizione dei reietti al novello Android. Tra l’altro la cosa andava a ripercuotersi anche sull’ “indotto” che ruota intorno al melafonino: Erica Sadun stava per pubblicare un libro su come si sviluppano queste applicazioni, aveva 12 mila preordini – e aspettava la rimozione della NDA per procedere alla pubblicazione; potete immaginare la sua sorpresa quando ha scoperto che non solo non era stata rimossa, ma addirittura estesa alle pubblicazioni.
Secondo altre persone la NDA era una forma di protezione della tecnologia alla base dell’Iphone mentre è ancora in corso di approvazione dei brevetti, e quindi la clausola sarebbe stata rimossa subito dopo l’ottenimento di questi brevetti. Il vero problema per Cupertino è l’immagine, perché molte persone hanno iniziato a sussurrare il paragone più pesante e pericoloso dell’industria IT: Apple sta diventando come Microsoft.
Ecco quindi arrivare ottobre, quando con una lettera ai programmatori Apple conferma la spiegazione dei brevetti ma informa che rimuoverà la clausola per via del troppo clamore e scontento suscitato: subito si fanno vivi i reietti che annunciano nuove versioni delle loro applicazioni e fiammanti righe di codice: un passo necessario per cercare di riconquistare la fiducia delle persone che giornalmente contribuscono al successo del telefonino della mela.
Ma perché un passo falso così grande e così tanto evitabile? proprio a ridosso della presentazione del telefonino di Google, poi. Davvero Apple ha fatto uno sbaglio così grande, infischiandosene degli utenti, o c’è qualcos’altro sotto?
Questo non credo ci sarà mai dato di saperlo, ma non è una novità che l’azienda di Jobs ami fare la voce grossa. Riprova ne è il fatto che minaccia di chiudere iTunes se il governo americano aumenterà di 6 centesimi di dollaro le royalty da pagare alle case discografiche sulle vendite di brani online. Anche qui, provocazione, realtà economica o sparata di cui forse si dovrà pentire?