È venerdì, il weekend si approssima e per la prima volta da forse vent’anni ho riutilizzato una cabina telefonica. Quale momento migliore per rievocare le suggestioni videoludiche adolescenziali?
Riflettevo che siamo abituati a pensare che il cuore pulsante della tecnologia batta oltreoceano, il che è vero, ma con qualche eccezione. Una di queste è Silmarils: una software house francese dal nome fortemente tolkieniano, che ha operato per una quindicina d’anni nel settore videoludico ed è poi sparita intorno al 2000, senza lasciar traccia nemmeno sul Web Archive.
Fondata nel 1987 dai fratelli Rocques, ha prodotto alcuni giochi d’azione e adventure/RPG che rappresentano dei pezzi di storia videoludica per Amiga, Atari ST, Commodore 64, Mac e PC. Pur non tecnicamente avanzati come la saga di Shadow of the Beast, i titoli della software house d’oltralpe coinvolgevano con atmosfere sempre uniche, colonne sonore molto curate e uno stile grafico non comune.
Già il titolo di debutto, Manhattan Dealers, rappresenta un nome leggendario per i possessori di C64, Amiga, Atari ST. Impersonati i panni dell’ispettore Harry, il giocatore deve percorrere gli squallidi sobborghi newyorkesi, sferrando cartoni e calci (calzati Camperos) a gruppi di spacciatori, per recuperare un quantitativo di droga che varia a seconda del livello di difficoltà.
Ricordo con una punta di angoscia il tipo con la motosega nello scantinato o il bastardo che tentava d’investirti con la moto, ma anche l’impegno speso a portare i nemici sull’orlo del molo, da cui era poi un piacere condurli a pedate verso un inaspettato tuffo invernale.
Seguono titoli straordinari e suggestivi come Colorado, di genere action/adventure ambientato nell’America della caccia all’oro, Le Fetiche Maya, titolo più prettamente adventure in cui ci si trova proiettati nelle perigliose giungle dello Yucatan a caccia di un misterioso feticcio. Tratto comune di entrambi questi titoli è tra l’altro l’alternanza fra fasi a scorrimento orizzontale e fasi proto-tridimensionali, in canoa (Colorado) o jeep (LFM), aspetto che rendeva ancora più coinvolgente il gameplay.
Che dire poi dello straordinario Targhan – il nome del mio guerriero-tank in AD&D! – anch’esso appartenente al genere action/adventure, in cui fra spadate e calcioni, il protagonista attraversa scenari capaci di stampare un’impressione indelebile su tanti ragazzini – magari come me in cerca di fuga verso una dimensione fantasy, piena di elfi, draghi e barbutissimi nani ma possibilmente priva di professori di matematica, lavagne e note sul registro.
Malgrado il legame affettivo per i titoli sopra citati, riconosco che la produzione Silmarils raggiunge forse il suo apice con Metal Mutant, anch’esso più action che adventure, in cui al giocatore tocca guidare un personaggio capace di prendere 3 forme robotiche – ciascuna con le sue peculiarità e i suoi armamenti, e con la trilogia di Ishar, in cui entra in campo un innovativo motore 3D. Meno interessante Ashgan, il cui secondo episodio non vedrà mai la luce.
Pur avendo saltato qualche pezzo, che comunque non fa eccezione all’elevato standard della software house francese, arriviamo al giorno d’oggi, in cui tutto quel che resta di Silmarils sono recensioni, memorie di tanti appassionati e un’abbondante scorta di immagini disco per chi volesse cimentarsi nell’emulazione. Oltre ovviamente alla curiosità, ormai vana, di sapere se Ashgan 2 sarebbe perlomeno riuscito a raggiungere il livello di Ishar.