Ricorderete il caso Capitol Records vs Jammie Thomas, in cui quest’ultima fu condannata a pagare 222.000 dollari di sanzione per la condivisione di 24 brani su un circuito di file sharing, pari a 9.250 dollari per brano condiviso.
Ci siamo occupati di molte fantasiose tesi emerse nei dibattimenti concernenti il caso, come per quella di Jennifer Pariser, avvocato di Sony BMG, che sostiene: “Quando un individuo copia una canzone per suo uso personale […] possiamo dire cha ha rubato una canzone”, o quella secondo cui basta condividere un file , anche senza che sia provata la trasmissione a terzi, per essere accusabili di distribuzione non autorizzata di opere protette.
La notizia di oggi è che questo castello di insensatezze è andato in fumo.
Il giudice Davies di Duluth, dopo aver chiesto mesi fa una pausa per riflettere sulla validità dell’impianto accusatorio, ha annullato il processo.
In calce al suo intervento, ha tenuto a sottolineare la sproporzione fra il valore di 24 canzoni – circa 54 dollari al prezzo locale dei CD – e i 222.000 che la RIAA ha chiesto come compenso, equivalenti al prezzo di 12.000 CD circa.
Senza tema di esagerazione, si tratta di una sentenza storica, occorsa nel paese in cui le contraddizioni emerse attorno al problema del diritto d’autore sono più evidenti. Terremo gli occhi aperti per valutarne le conseguenze sui molti casi ancora in corso e su coloro che hanno già composto la questione in via extragiudiziale sborsando una somma determinata con criteri del tutto arbitrari – non mi viene la parola… es… est… estorsione? – e che forse si sarebbero potuti risparmiare.
Fonte: Wired Blog