Possedere un computer richiede l’incredibile sforzo di… doverlo usare (tranne se vogliamo impiegarlo come soprammobile, ma generalmente non è questo il fine, a parte per i pezzi d’antiquariato). Sembra una cosa lapalissiana, ma è tutt’altro che banale. Un computer senza software da farci girare è una scatoletta vuota; un corpo senz’anima; un soprammobile, appunto, perché non si può usare.
Agli utenti si presentano generalmente due scenari: farselo in casa se si è capaci, o sfruttare il lavoro di altri programmatori che hanno pensato bene di coprire delle particolari esigenze realizzando delle apposite applicazioni.
Quando ci si approccia a questo fantastico universo nemmeno ci si pongono tutti questi problemi: il software c’è già, qualcuno l’ha realizzato e noi ne godiamo i frutti. Come? Pagandolo naturalmente: il software viene venduto e… ha un prezzo! Questa concezione cambiò radicalmente quando nelle mie mani finì un dischetto “strano”. Un fish disk … gratuito!
Già, perché fino ad allora gli unici programmi che erano “gratuiti” erano di due tipi: quelli che aveva prestato l’amico smanettone di turno (e immediamente copiati; tipica mentalità degli anni ’80, complice l’assenza di adeguata legislazione in materia), oppure quelli che arrivavano dal più vicino Niwa Point (negozio di hardware che era anche specializzato nel “fornire” copie).
Fu quindi una meraviglia scoprire che qualcuno metteva a disposizione dei dischi con programmi liberamente utilizzabili, senza pagare un centesimo (anzi, una lira ai tempi) o, al più, facendosi pagare i costi (irrisori) per la sola riproduzione e la spedizione.
Questo personaggio si chiamava Fred Fish (nella foto è a sinistra; a destra invece c’è un mostro sacro, una divinità venerata dagli amighisti, Dave Haynie) e in breve tempo divenne un’icona della comunità Amiga. Era un programmatore e ha anche collaborato al progetto dello GNU Debugger, ma ha speso buona parte della sua vita alla promozione e distribuzione di software gratuito e/o libero.
Già, il software gratuito e/o libero. Oggi termini come software libero e licenza sono ben noti e diffusi, ma in un’epoca in cui la norma era rappresentata dal dischetto da comprare (per chi aveva l’onestà di farlo) e infilare nel computer l’avvento del software gratuito (addirittura a volte corredato dai sorgenti) era decisamente un’anomalia, qualcosa fuori dal comune.
Sì, perché c’era gente che rilasciava il proprio lavoro senza chiedere nulla in cambio; al limite di venire citato se veniva riutilizzato da qualcun altro, oppure ne continuava a detenere il copyright. Di questi programmi spiccavano sicuramente quelli che venivano chiamati public domain che non ponevano alcuna restrizione al loro utilizzo: potevano essere copiati, ma anche modificati, inclusi nelle proprie applicazioni e addirittura venduti senza alcun limite.
Software realmente libero, appunto, e non a caso, perché oggi per software libero s’intende generalmente quello che sottostà alle quattro “libertà fondamentali“ (formulate da Richard Stallman della Free Software Foundation) che, però, ad un’attenta lettura, tanto libere non sono, visto che prevedono degli obblighi.
In ogni caso e comunque la si voglia pensare (dato il tema particolarmente “caldo” e “sentito” chi gravita nel mondo dell’informatica si sarà fatto una sua idea in merito), grazie ai fish disk la comunità Amiga venne a contatto con un’altra tipologia di distribuzione del software che fu particolarmente apprezzata e che tanti proseliti ha fatto.
Fred è morto lo scorso anno, ma ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’informatica e un posto d’onore nel cuore dei tanti affezionati che ancora oggi continuano a sentirsi amighisti. Grazie Fred.