Correva l’anno 1994: Michael Spindler – CEO succeduto a John Sculley, il “traditore” di Jobs – annuncia l’apertura del Mac, sperando di invertire le sorti dell’azienda, al tempo quasi decotta, attraverso la massimizzazione della quota di mercato.
Già dieci anni prima tuttavia – nei giorni in cui Bill Gates suggeriva a Sculley di dare in licenza Mac OS – un’azienda brasiliana, la Unitron, approntava il Mac512: erano passati solo pochi mesi dal rilascio della seconda versione del Macintosh, la 512k. Il clone non è tanto interessante per le specifiche tecniche, quanto per la storia che lo circonda, in cui la tecnologia s’intreccia con la politica internazionale.
Dal 1984 la legislazione brasiliana vietava infatti l’importazione di personal computer, nel tentativo di contrastare gli USA in uno dei suoi comparti industriali più floridi e forse di favorire la nascita di un’industria informatica nazionale. Anche il Mac, lanciato nel 1984 come la “next big thing” nel settore, in conseguenza di questa policy, era escluso dall’ingresso nel mercato brasiliano. Fu così che Unitron, azienda brasiliana esperta nel cloning degli imitatissimi Apple II, decise di cavalcare l’hype e realizzare un clone del Mac. Abbandonata la strada del licensing perché troppo onerosa, ottenne un prestito di 10 milioni di dollari dallo stato per la realizzazione del sistema tramite reverse engineering.
Nacque così il Mac512: del tutto analogo al fat mac (512k), ma con una ROM di dimensione doppia e differenze estetiche minori – tasti neri e la presenza, in alcuni esemplari, del pulsante di espulsione floppy. La produzione del Mac512 era già partita quando Apple, venuta in possesso di una release di preproduzione, equipaggiata con una ROM marchiata Apple, iniziò a far pressione sul governo brasiliano e statunitense per il blocco della produzione del computer.
Il governo USA aprì una piccola crisi internazionale – per carità, niente in confronto a quella ventilata ieri dall’integerrima Marge Simpson d’Alaska, alias Sarah Palin – minacciando un aumento dei dazi di importazione dal Brasile. La cancellazione del progetto fu immediata: per le circa 500 unità prodotte non vi fu altro mercato se non quello collezionistico.
L’operazione sigillò per un altro decennio – ossia fino all’abolizione del veto sull’importazione di PC – le porte del mercato brasiliano ad Apple, lasciando campo libero al dilagare della piattaforma PC IBM compatibile.
A vent’anni di distanza tuttavia, appare chiaro il legame fra l’apertura degli standard e l’azzeramento dei profitti di IBM nella divisione PC, sfociata nella vendita dell’intera unità alla cinese Lenovo. E la gloria derivante dal poter affermare che la maggioranza dei computer oggi in circolazione discende dall’IBM XT, vale ben poco rispetto alle laute revenue che Apple ancora miete dall’hardware Mac.