Giovedì scorso su un quotidiano locale genovese è uscita una notizia particolare, di cui si intuisce quasi tutto dal titolo: “racconti hard sul blog, divorzio possibile”.
L’articolo in questione narra le vicende di un signore che si vantava sul suo blog delle proprie scappatelle extraconiugali, e di come un notaio del capoluogo sia specializzato nel “certificare i post” per essere usati come prove in tribunale. Una vicenda su cui vale la pena riflettere, anche se con le dovute cautele per via del filtro operato dal giornalista.
Il notaio racconta al quotidiano la differenza tra fare una stampata dei post di un blog, cosa alla portata di chiunque, e avere invece in mano un documento ufficiale e accettato dai tribunali che certifica legalmente che qualcosa è stato scritto, cosa in cui lui è specializzato. Gli ambiti applicativi spaziano dal personale al coniugale, dal privato all’aziendale: ovunque ci sia una”prova” in rete è possibile applicare la certificazione. Il notaio è attualmente impegnato a realizzare un sistema che consenta a queste certificazioni di essere accettate in tutta Europa.
Ora non voglio certamente dire che la computer forensic non esista o non sia utile, ci mancherebbe… in un mondo in cui quasi tutto è digitale, veloce e distribuito, in cui è facile aprire un server a Singapore con un dominio senza intestazione e in cui si scrive usando un proxy messicano, è bene che ci siano persone specializzate ad aiutare la giustizia a fare correttamente il suo corso.
Però nello specifico caso cosa mi rappresenta la “certificazione del post”? Non siamo di fronte all’evidenza di un accesso non autorizzato a un server, stiamo parlando di qualcuno che certifica che ho scritto qualcosa su un blog. Non certifica, ovviamente, la veridicità di quel che c’è scritto (cosa che solo un investigatore può fare), ma solo che c’è realmente scritto. E c’è una bella differenza, mi sembra: se scrivo sul mio blog che so volare, so certamente volare?