Apprendo da Punto Informatico che a Portland, OR è da poco stata aperta una palestra energeticamente autosufficiente, grazie a vari accorgimenti di contentimento dei consumi e a macchine che generano energia grazie al lavoro degli iscritti che si allenano.
Quando vado in palestra, e mi riscaldo sulla cyclette, confesso che “sbircio” sempre il numerino che mi dice quanta energia ho prodotto. Si tratta di poca roba, ma se sommiamo tutti gli allenamenti si ottiene un totale interessante.
Adam Boesel, proprietario del centro, ha pensato proprio di mettere a frutto il lavoro dei suoi iscritti, dotando alcune delle sue macchine di dinamo che trasforma in energia parte del lavoro fatto dai suoi atleti. Quattro cyclette in uso producono da 200 a 600 watt di potenza, pochino.
Sul sito della palestra (che paraganato a quello della mia, fa capire molte cose sul “digital divide” ndr) si scopre che Adam non si è limitato a mettere in opera queste macchine sperimentali, ma ha anche adottato una politica di risparmio energetico molto efficiente. Tutti gli attrezzi sono stati scelti tra i più “parsimoniosi” e nella palestra vigono regole votate al massimo risparmio energetico.
Il totale dei consumi del suo impianto pare dargli ragione, essendo molto al di sotto di quanto consumato da palestre tradizionali. Confesso però di essere molto scettico sul ricavare energia dal lavoro umano. Si tratta di macchine sperimentali, costose (anche se l’abbonamento alla palestra è quasi gratis confrontato ai costi milanesi) e difficili da mantenere. Il timore che richiedano, in totale, più energia di quanta ne producano è secondo me fondato.