Il governo italiano c’aveva provato, un po’ di tempo fa, col rinvio della votazione del Coreper (un comitato che prepara i lavori del Consiglio dell’Unione Europea) allo stop totale alla vendita di veicoli a benzina o diesel a partire dal 2035, salvo poi cedere a causa dell’accordo raggiunto in extremis sulla richiesta della Germania di far rientrare i carburanti sintetici.
Le speranze, però, si sono riaccese quando, appena qualche giorno fa, la Polonia ha deciso di opporsi a tale decisione ricorrendo alla Corte di giustizia dell’UE. Non si conoscono ancora le motivazioni, non essendo ancora stata depositata la richiesta, ma dovrebbero tirare in ballo il drammatico impatto che tale assurdità provocherebbe non soltanto all’industria automobilistica, ma soprattutto a buona parte della popolazione, il tutto in nome di un finto ecologismo di facciata che si oppone acriticamente e in maniera del tutto preconcetta alle auto a benzina o diesel.
Infatti i meno abbienti avrebbero enormi difficoltà a far fronte ai maggiori costi che comporterebbe l’acquisto di vetture elettriche (come peraltro aveva già rimarcato il governo italiano nel comunicato stampa che aveva diffuso a seguito del suo precedente tentativo), nonostante gli enormi bonus che negli ultimi tempi i governi hanno elargito a pioggia un po’ ovunque (facendo spesso un favore a chi, invece, poteva già permettersele).
In teoria l’economia di scala avrebbe dovuto ridurre di molto il costo della produzione delle enormi batterie necessarie alle auto elettriche, fino ad arrivare a un punto di pareggio o addirittura riuscire a renderle più economiche rispetto alle tradizionali auto a combustione, ma dopo tanti anni ed enormi investimenti siamo ancora ben lontani da tali obiettivi (a cui si aggiungono anche i maggiori costi quando subentrano problematiche alle batterie). Mentre l’UE con la normativa che ha approvato dà già per assodato che i costi delle auto “a zero emissioni” saranno contenuti e addirittura “abbordabili”: evidentemente le sfere di cristallo abbondano, da quelle parti…
Allo stato attuale rendere tali auto acquistabili da chiunque significherebbe equipaggiarle con batterie troppo piccole che ovviamente portano ad autonomie a dir poco ridicole, con le quali si potrebbe anche coprire il classico tragitto casa-lavoro, ma non per tutti. Inoltre distanze percorribili limitate significano anche minori possibilità di movimento extra-lavorative (viaggi, svago, vacanze).
L’autonomia limitata non sarebbe di per sé un grossissimo problema se il tempo di ricarica fosse molto veloce, ma non si aggira nemmeno lontanamente sui canonici cinque minuti che si spende normalmente per un’auto a combustione per fare il pieno. Ad esempio una Porche Tycan Turbo S impiega 17 minuti per portare l’autonomia da 40 a 320km (quindi nemmeno arrivando al “pieno”) con una potenza massima di 268kW (ovvero solo su apposite colonnine HPC: quelle per le cosiddette “ricariche veloci”): e stiamo parlando di una Porsche, non di un’utilitaria!
Le ricariche veloci sono, quindi, un po’ più “digeribili” da questo punto di vista, ma non sono supportate da tutti i veicoli elettrici, oltre al fatto che generalmente hanno prezzi molto più elevati. Inoltre rimangono appannaggio dei distributori o di alcune colonnine che ormai si trovano sparse nelle città, perché la ricarica casalinga non è certo “veloce” (tutt’altro!).
I governi stanno spingendo molto per ricaricare le auto elettriche a casa, ma ovviamente tantissime persone sono tagliate fuori perché la loro abitazione non lo consente o non hanno un posto auto a disposizione (fermo restando che un posto auto non implica, di per sé, la possibilità di poter ricaricare un’auto o attrezzarsi in modo da poterlo fare. Nemmeno un garage offre automaticamente questa possibilità, tra l’altro).
In ogni caso anche per chi potesse logisticamente/tecnicamente averne la possibilità, ciò significa mettere comunque mano al portafogli, in quanto l’investimento necessario non sarebbe roba di poco conto (anche con eventuali incentivi statali. Che, comunque, nemmeno tutti gli stati europei offrono).
Che dire, poi, delle auto elettriche che di recente sono rimaste bloccate per diversi giorni a causa delle alluvioni che hanno sommerso alcune zone del paese? Un altro disagio che si aggiunge all’elenco e che ha costretto i proprietari a trovare altre soluzioni, non potendo più disporre del proprio mezzo.
Come se non bastasse, anche il potenziamento e il consolidamento della rete elettrica (per supportare il maggior carico per affrontare l’inevitabile nonché consistente aumento della richiesta di energia) abbisogna di enormi investimenti statali che, manco a dirlo, andranno ancora una volta ad attingere al portafogli dei cittadini sotto forma di tasse.
Da qualunque parte si guardi la situazione, una cosa è assolutamente sicura: serviranno montagne di soldi per poter realizzare questo folle piano il cui scopo principale rimane quello di appagare i sogni a occhi aperti di alcuni fanatici che vedono il mondo a tinte verdi in ogni direzione, ignorando e contrastando qualunque cosa non sia coerente con la loro visione.
E che si tratti di pura ideologia, come già anticipato, lo dimostra il fatto che inizialmente il provvedimento escludeva a priori anche i carburanti sintetici che consentirebbero di diminuire ugualmente le emissioni di CO2 (non attingendo a derivati del petrolio o del carbone, ma producendo tali carburanti facendo uso di fonti per lo più “rinnovabili”), come riportato ancora nella nota del governo italiano. Le auto a benzina o diesel sarebbero, insomma, dovute sparire in quanto tali, a prescindere da qualunque soluzione che ne avrebbe consentito la sopravvivenza compatibilmente con l’obiettivo di riduzione della CO2.
Una cieca ottusità che appare avulsa dalla realtà anche quando prevede un perentorio arresto a prescindere dallo status alla data obiettivo del provvedimento. La normativa, infatti, prevede, sì, dei controlli durante tale periodo, ma esclusivamente per valutare se si è in linea con gli obiettivi ed eventualmente erogare dei finanziamenti per qualche aiuto allo scopo. Di uno stop al divieto, insomma, non se ne parla assolutamente.
Ma cosa succederebbe se, ad esempio, i prezzi delle auto elettriche fossero ancora troppo alti? Se la rete elettrica non fosse stata adeguata al carico richieste? Se le città e i paesini non avessero un’adeguata copertura in termini di piattaforme di ricarica e colonnine? Se i tempi di ricarica fossero ancora troppo lunghi, tanto da minare alcune attività (trasporti e lavori di rappresentanza, in primis)?
Se la risposta a tutto ciò è (e lo è: vedi sopra) che si dovrebbe ugualmente procedere senza indugio, allora ci troveremmo di fronte a un provvedimento assolutamente folle, senza alcun barlume di razionalità. Un piano che sacrifica le fasce di popolazione più deboli sull’altare dell’appagamento edonistico di alcuni personaggi in cerca di qualche “gloria”.
Dulcis in fundo e assumendo temporaneamente che tale blocco fosse “cosa buona e giusta” (e non lo è, considerato che il trasporto privato incide per circa il 10% sulle emissioni totali, ossia considerando l’intero ciclo di vita di un mezzo a combustione interna. Anche per le auto “green”, infatti, si emette CO2 durante il loro intero ciclo di vita), esistono in tale piano delle clausole che prevedano che l’aumento della produzione di energia elettrica atta ad alimentare le auto elettriche arrivi esclusivamente da energie a basso (o nullo) impatto di CO2? Non mi pare di averne vista traccia.
Perché e se così non fosse si arriverebbe al paradosso di consentire l’uso di carbone, petrolio, o gas, da bruciare per… produrre tale elettricità, con annessa florida produzione di tale gas serra: un ossimoro in termini!
Un po’ come la Germania, che a causa della crisi energetica ha preferito aumentare l’uso di centrali a carbone per farvi fronte, con relativo spropositato aumento di emissioni di CO2, pur di non utilizzare le centrali nucleari (che hanno emissioni di gran lunga più basse), le quali sono viste come il diavolo in persona dalla coalizione dei verdi che è al governo (infatti le ultime sono state chiuse proprio di recente, senza ulteriore rinvio e ignorando del tutto le recenti problematiche in termini di approvvigionamento energetico. Mentre le centrali a carbone sono ancora ben attive). D’altra parte la coerenza mal si sposa con l’integralismo ideologico…
Infine come non considerare se non puro fanatismo il fatto la Spagna abbia bacchettato la Germania per la sua precedente presa di posizione, cianciando sul fatto che si tratterebbe di un pericoloso precedente, in quanto finora i provvedimenti sarebbero arrivati quasi tutti dritti fino all’approvazione finale? Ma allora non si capisce per quale motivo si dovrebbe tenere in piedi un’infrastruttura che, a questo punto, sarebbe del tutto inutile, peraltro costando soldi ai contribuenti senza nessun beneficio (arrecando danni, anzi, da quanto sembrerebbe). Non sarebbe meglio eliminarla, a questo punto, risparmiando soldi e velocizzando il tutto?
Purtroppo il governo spagnolo si è dimostrato ancora una volta polarizzato e indottrinato, poiché ha ignorato il fatto che tali meccanismi servano proprio per dare la possibilità di approfondire meglio le questioni e arrivare all’approvazione finale commettendo meno errori possibile. E ciò proprio perché la documentazione subisce revisioni e discussioni a vari livelli.
Ha ignorato, inoltre, che una volta approvato un provvedimento sarebbe poi estremamente difficile modificarlo, tenendo conto che la larghissima coalizione fintogreen stava già facendo enormi pressioni per approvarlo così com’era inizialmente stato definito.
Fa benissimo, dunque, la Polonia a cercare di fermare tutto prima che sia troppo tardi, ridando fiato in primis alla gente e poi anche alle industrie automobilistiche, che alla fine si traduce anche in un aiuto all’economia (visti i tempi difficili). Teniamo le dita incrociate nella speranza che il provvedimento riporti a galla un po’ di buon senso che, purtroppo, manca ormai da parecchio, specialmente dalle parti di certi burocrati europei.