Questo pezzo viene scritto sulla base delle informazioni attualmente disponibili circa un processo giudiziario in corso. Verrà aggiornato o integrato mano a mano che ulteriori notizie diverranno disponibili. Gli ultimi elementi disponibili hanno come fonte il commento di Qualcomm a circostanziate richieste di ARM relative alla tutela della loro IP. ARM ha già definito queste ricostruzioni molto fallaci e starebbe preparando un proprio memorandum per contrastarle – ad oggi, 1 Novembre 2022, tuttavia non disponibile.
Qualche settimana fa ARM ha citato in giudizio Qualcomm in riferimento all’acquisizione di NUVIA (avvenuta nel 2021), e all’utilizzo che Qualcomm intende fare (e starebbe facendo) della proprietà intellettuale acquisita da NUVIA, – in particolare dei core Phoenix, originalmente sviluppati da NUVIA e che Qualcomm prevede di mettere sul mercato entro il 2023 come soluzioni di performance analoghe o superiori alle CPU Apple della serie M.
Qualcomm non ha bisogno di presentazioni, – chi avesse bisogno di una rinfrescata trova qui dettagli, storia e numeri del colosso americano dei semiconduttori. NUVIA al contrario è un’azienda fondata nel 2019 da alcuni veterani dell’industria, a partire dal CEO Gerard Williams III, già chief architect nello sviluppo delle CPU e SOC di Apple, soluzioni che molto hanno contribuito al successo dell’azienda in ambito mobile e PC.
In soldoni il motivo della causa di ARM contro Qualcomm risiede nell’asimmetria degli accordi con ARM tra l’azienda acquisita e l’azienda che acquisisce. NUVIA aveva infatti come obiettivo lo sviluppo di CPU basate su architettura ARM idonee per alti carichi di lavoro – con annessi accordi di royalty molto lucrativi per ARM. Al contrario Qualcomm, che sviluppa forti volumi su CPU general purpose, avrebbe degli accordi di royalty più leggeri con ARM. Nel momento in cui Qualcomm ha acquisito NUVIA, ha pensato di impiegare la tecnologia sviluppata dalla startup californiana (la citata architettura Phoenix) su CPU mainstream. È a questo punto che ARM ha alzato la mano, segnalando che gli accordi in essere con Qualcomm impedirebbero il riutilizzo della IP di un’azienda acquisita con cui ARM ha accordi separati, almeno senza previa autorizzazione di ARM.
Partendo da questo presupposto ARM chiederebbe la distruzione della IP dei core Phoenix – richiesta che più probabilmente potrebbe tendere a ricondurre l’integrazione di tecnologia NUVIA in prodotti anche mainstream di Qualcomm su un accordo di royalty più lucrativo – analogo a quello negoziato con NUVIA.
Questa richiesta potrebbe a buon titolo comportare una rialzo delle royalty orizzontale o comunque riferito a un’ampia parte della produzione di Qualcomm. Ancora più interessante la minaccia di ARM nei confronti di Qualcomm in caso di mancato rispetto delle condizioni poste: la decadenza della licenza ARM, alla scadenza naturale dell’ultimo contratto, fine 2024.
Un atteggiamento così aggressivo nei confronti di uno dei propri più grandi partner commerciali lascia una cattiva sensazione sullo stato di salute di ARM. Un’azienda un tempo estremamente promettente e da lustri al centro della rivoluzione del mobile; oggi in pancia a un conglomerato, Softbank, dalla storia estremamente tormentata e dalla leadership molto discussa; ARM è stata oggetto di un tentativo di vendita a nVidia – fortemente opposto tra gli altri anche da Qualcomm – bloccato di recente dalla FTC su basi anticompetitive.
Secondo Semianalisys, coi capitali di Softbank ARM avrebbe tentato di diversificare la propria proprietà intellettuale in direzioni nuove – datacenter, automotive – che tuttavia non hanno ancora dato frutto.
Cerchiamo di capire in che modo ARM propone in licenza la propria IP. I modelli sono sostanzialmente due: TLA e ALA. TLA sta per Technology License Agreement, e prevede un utilizzo, tagliando con l’accetta, as-is dell’IP ARM. ALA, Architecture License Agreeement, prevede invece la personalizzazione della IP ARM per implementazione in applicazioni proprietarie. Sebbene gli accordi siano sempre personalizzati e molto dipendenti dai volumi in gioco, le royalty di TLA sarebbero generalmente più elevate di quelle di ALA, dove maggiore è il lavoro di personalizzazione dell’architettura.
La storia recente ci racconta di un crescente impegno dei giganti dell’elettronica di consumo nello sviluppo di architetture proprietarie basate su IP ARM, a partire da Apple, dopo l’acquisizione di PA Semi. Una approccio che, come abbiamo visto, prende solo il “nocciolo” della tecnologia ARM, e vi costruisce intorno ottimizzazioni e sottosistemi periferici capaci di garantire al brand un vantaggio prestazionale non disponibile alla concorrenza. Un approccio – anche qui passatemi la semplificazione – “off-the-shelf” come quello sancito da TLA, sebbene più remunerativo per ARM, appare più adatto a piccoli integratori che non dispongono di economie di scala tali da giustificare un reparto interno di personalizzazione dell’architettura dei propri SOC.
A questo punto è abbastanza chiaro quanto ARM si trovi, per le sue stesse politiche di licenza, in una posizione intrinsecamente contraddittoria: da un lato le licenze TLA sono riduttive rispetto alle ambizioni dei più grandi clienti; dall’altro le licenze ALA rendono meno e producono hardware leader di performance all’interno dei quali il peso specifico dell’IP ARM è molto diluito – particolarmente in quegli scenari in cui è stretta l’integrazione HW/SW (HPC, altri impieghi verticali come automotive, a tendere anche il mondo del personal computing).
Come sta reagendo ARM a questa circostanza? In estrema sintesi, cercando di “chiudere il recinto”. Secondo Qualcomm (lo riporta Semianalysis in un articolo di pochi giorni fa), ARM starebbe lavorando in direzione di richiedere direttamente agli OEM (Samsung, Xiaomi etc.) accordi di licenza. Un cambiamento potenzialmente molto trasformativo dello status quo, che “taglierebbe fuori” per definizione aziende come Qualcomm. Qualcomm sostiene anche che ARM intenda impedire a detti OEM di affiancare ai core ARM sottosistemi di calcolo (GPU, processori neurali) non ARM, magari sviluppati in-house, attuando un bundling forzoso che metterebbe seriamente in discussione il senso di anni di ricerca e sviluppo investiti da detti OEM nello sviluppo di coprocessori custom.
Nella confusione di questi primi passi della causa è difficile formarsi un’opinione chiara e conclusiva, anche perché ripeto, mancano ancora i commenti di ARM alle affermazioni fatte da Qualcomm e qui riportate. Qualcomm a sua volta è un’azienda molto discussa per un uso aggressivo dello strumento giudiziario nel difendere la propria IP.
Avendo un ricordo molto vivo del momento in cui ARM, relativamente piccola e sconosciuta azienda fabless, ha sostanzialmente reso possibile l’avvento della nuova generazione di smartphone capitanata dall’iPhone, e avendo seguito con grande interesse il dispiegamento dell’architettura in ambiti diversi dal mobile – a partire dal PC, in cui finalmente l’architettura x86 si trova messa concretamente in discussione – trovo abbastanza preoccupante l’esistenza stessa di questa causa.
Il modello di business di ARM, se non ha finora consentito all’azienda di acquisire la capitalizzazione di una Intel o di una AMD, ha dato a tutta l’industria dei semiconduttori un impulso innovativo difficile da sovrastimare. I core Phoenix di Qualcomm in questa direzione rappresenterebbero una soluzione di prestazioni analoghe o superiori alle CPU Apple della serie M, disponibile al di fuori dell’architettura proprietaria Apple. Quindi un grande passo avanti per ARM nel mercato PC, il quale seppur stagnante è enorme e certamente non meno affamato di prestazioni ed efficienza di quello mobile. Un mercato che peraltro da anni tende verso una convergenza tablet-laptop che di certo è stata molto rallentata dai limiti termici ed energetici di x86.
Softbank, persa la chance di vendere ARM a nVidia, valuta oggi la possibilità di portare ARM verso la IPO, e forse in preparazione di questo sta attuando politiche di licenza aggressive e al contempo cercando di modificare – se quanto afferma Qualcomm è da prendere per buono – il modello di business di ARM in una direzione che renda l’azienda inglese maggiormente partecipe delle fortune dei suoi licenziatari, e quindi più interessante per il mercato.
Se l’apertura è stata finora la fortuna di ARM, non è detto che una maggior chiusura possa decretarne la fine. È difficile immaginare però che i clienti di ARM (o di aziende che integrano tecnologia ARM) rinuncino tutt’a un tratto alla possibilità di personalizzare l’architettura e costruirle attorno sottosistemi specializzati proprietari con cui costruire e difendere un vantaggio prestazionale.
Anche perché fuori da ARM c’è RISC V, un’architettura hardware open source che, sebbene non matura come ARM, è disponibile gratuitamente e sta conoscendo una crescente diffusione in svariati campi d’impiego. Vista la progressiva centralità prestazionale delle personalizzazioni centrali (ALA) e periferiche (sottosistemi proprietari) dell’architettura ARM, quanto problematico potrebbe mai essere per aziende del calibro di Samsung, a fronte di una ARM sempre più avida, cambiare architettura?
Chi cercasse qualche approfondimento sulla storia e l’architettura ARM, qui troverà pane per i suoi denti.