Dopo anni di pressione e di auspicati cambiamenti di rotte da parte di IBM, Sun ha completato il processo iniziato due anni fa e annunciato alla JavaOne Conference.
In effetti le tre versioni (Standard, Micro ed Enterprise) erano già state divenute Open Source insieme al graduale rilascio di compilatore e virtual machine.
Il problema nasceva da quel che la FSF aveva definito la “Java Trap”, ovvero quel 5% di codice proprietario, quasi interamente terzo, ancora presente.
Ma il progetto IcedTea, istituito da RedHat e che aveva il compito di rimpiazzare quella porzione di codice presente nell’OpenJDK, ha finalmente raggiunto l’obiettivo.
Il percorso non è stato quindi dei più semplici, com’era prevedibile, ma forse si è reso al tempo stesso necessario. Quattro infatti sono state le motivazioni che hanno indotto Sun a compiere questo passo quasi epocale:
- il tentativo di attrarre quella parte di sviluppatori che supportano e sfruttano nel proprio lavoro soprattutto metodologie di sviluppo Open
- fare proprio il nuovo modello di business derivato dall’utilizzo di queste metodologie
- dare nuova linfa e nuove idee, su spunto della comunità OSS, in merito al design sul linguaggio e sulla piattaforma (ultimamente piuttosto criticate)
- contrastare il crescente successo di Microsoft .NET
Se prima le scelte progettuali venivano imposte dall’alto secondo un sistema tipicamente piramidale, con al vertice un comitato presieduto da Sun stessa, ora, la scelta di abbracciare la licenza GPL consentirà, a chiunque voglia farlo, la modifica del codice sorgente di Java e il suo rilascio pubblico.
Contemporaneamente però, può rappresentare un pericolo, il pericolo del forking selvaggio, da sempre uno dei punti deboli dei sistemi GNU/Linux in ambito commerciale, perché frammenta le risorse produttive e rende difficile il processo di identificazione del prodotto nell’utente finale.