Dopo una lunga assenza al termine della consueta pausa estiva, dovuta a vari cambiamenti nella mia attività professionale coincisi con questo ultimo periodo, riprende stabilmente (imprevisti permettendo) l’attività della rubrica Energia e Futuro, e riprendendo là dove avevamo interrotto, ovvero parlando dei Sistemi Propulsivi Aeronautici, ed andando a parlare quest’oggi di una soluzione molto semplice ed interessante, e che ha visto alcuni impieghi e rivisitazioni successive in chiave davvero innovativa (e che saranno l’oggetto del prossimo post).
UN SEMPLICE MOTORE PER ALTE PRESTAZIONI – LO STATOREATTORE
Il principio di funzionamento di uno Statoreattore (noto anche come Ramjet) è analogo a quello finora esaminato per i motori a getto quali Turbogetto e Turboventola, nei quali l’aria viene aspirata attraverso una sezione frontale, compressa ed inviata al combustione, per poi generare la spinta ma, mentre nei motori turbogetto (e turboventola) sono presenti a tale scopo il compressore e la turbina, in uno statoreattore non vi è nessuno dei due dispositivi.
Lo statoreattore utilizza una particolare conformazione della sezione di aspirazione per operare la compressione del fluido entrante fino alle condizioni desiderate per alimentare la camera di combustione e sfruttare esclusivamente l’espansione dei gas combusti per generare la spinta, ed in questa particolarità di funzionamento presenta parecchie analogie con i Pulsoreattori, sebbene la differenza principale tra i due sistemi propulsivi consiste nella modalità di combustione, intermittente nei pulsoreattori e continua negli statoreattori.
(Schema funzionale di uno Statoreattore – Courtesy of Wikipedia)
Data l’assenza di parti rotanti, lo statoreattore si caratterizza per la sua grande semplicità ed affidabilità, ma è anche caratterizzato da alcune problematiche nel funzionamento, che esamineremo nel seguito.
STATOREATTORE – LA STORIA
Le origini dello statoreattore risalgono ai primi anni del novecento, quando due inventori, il francese René Lorin nel 1913 e l’ungherese Albert Fonó nel 1915, ne svilupparono il concetto e, sebbene con scarsi risultati sul fronte sperimentale per Lorin e con parecchie problematiche (principalmente difficoltà dovute al rifiuto dell’idea da parte dell’esercito Austro-Ungarico, fatto che ne ritardò lo sviluppo) per Fonó, il quale nel 1932 vide pienamente accettato il brevetto presentato quattro anni prima.
Lo studio dello statoreattore vide l’interesse anche di molti ricercatori in varie altre parti del mondo, tra le quali non potevano naturalmente mancare l’Unione Sovietica e la Germania, con ricerche e prototipi sviluppate sin dagli anni trenta, e successivamente (anni quaranta e cinquanta) Stati Uniti e Francia.
I risultati di queste attività portarono alla realizzazione sia di missili che di aerei veri e propri, sebbene nessuno di questi ultimi, tra i quali è importante ricordare il primo velivolo “Ramjet”, il Leduc 0.10 (ideato da René Leduc), il Nord Aviation 1500 Grifon, gli ordigni sperimentali Gorgon IV e Burya, abbia visto l’entrata in produzione in serie:
(Leduc 0.10)
(Nord Aviation 1500 Grifon)
Un test interessante riguardante gli statoreattori vide protagonista il North American X-15, il quale venne dotato di serbatoi ausiliari, rivestimento ablativo e sistema propulsivo aggiuntivo ramjet (collocato sotto il piano verticale di coda), riportato nella seguente foto:
(North American X-15 con rivestimento ablativo, serbatoi ausiliari e ramjet – Courtesy of NASA)
CARATTERISTICHE E FUNZIONAMENTO DELLO STATOREATTORE
Lo statoreattore, come immediatamente intuibile da uno sguardo ad un qualunque schema od immagine (come quella riportata in precedenza) di qualche esemplare, è realizzato “intorno alla sezione di aspirazione” in quanto il suo funzionamento dipende in maniera preponderante proprio da questo componente, il quale deve essere in grado di fornire un flusso d’aria ad una pressione adeguata in modo da sostenere a combustione e permettere l’espansione dei gas attraverso l’ugello di scarico in condizioni di spinta adatte a velocità supersoniche.
Affinché si raggiunga un flusso d’aria adeguato al funzionamento dello statoreattore è necessario che quest’ultimo si trovi ad una velocità relativa con il flusso positiva, il cui valore minimo dipende fortemente dal progetto della sezione di aspirazione ma che comunque deve essere superiore a zero e preferibilmente prossima (o superiore, fino al limite massimo che è di circa Mach 6) alla velocità supersonica per garantire durante l’attraversamento della sezione di gola lo sfruttamento dei fenomeni d’onda e la conseguente sovralimentazione dinamica, in maniera tanto più efficiente quanto maggiore è la velocità relativa flusso-statoreattore (compatibilmente alla geometria definita).
Data l’assenza di parti in movimento caratterizzate da temperature critiche di funzionamento quali la turbina, il rapporto aria-combustibile nel caso degli statoreattori può essere sensibilmente più ricco e pertanto l’energia sviluppata dalla combustione può essere superiore rispetto ai motori a getto tradizionali e conseguentemente anche la spinta originata, consentendo a questi sistemi propulsivi di spingersi laddove è proibitivo (Mach 3+) per i sistemi propulsivi basati su turbine a gas, e di fermarsi laddove altre problematiche pongono un limite che richiede particolari soluzioni (che sono state sviluppate e che saranno oggetto di un futuro post).
Con questo per oggi è tutto, e scusandomi ancora per la lunga assenza, vi saluto e vi invito a continuare a seguire la rubrica Energia e Futuro ed AppuntiDigitali.