Le persone che hanno avuto la fortuna di viverli e toccarli con mano (e tra voi lettori sono sicuro ce ne siano tanti) non possono dimenticare questo decennio.
I paninari in discoteca, i seni al vento di Sabrina Salerno, le commedie dissacranti di Benigni, Pozzetto e Verdone che raccontavano ciascuno una certa parte dell’Italia, così istrionica e piena di contraddizioni.
Le serata passate a ridere con le gag di Drive-In , il trionfo della musica Pop, del consumismo, dei media che hanno visto l’ascesa della televisione commerciale e la caduta del muro di Berlino , lo spartiacque simbolico che ha segnato la fine di un’epoca.
Ma sono stati anni che hanno consacrato definitivamente il videogioco come strumento di divertimento, che non distingueva la generazione ma si rivolgeva a chiunque volesse distrarsi (inteso positivamente, come il divertissement di Pascal di antica memoria) e impegnare senza pensieri le proprie energie psicofisiche per rilassarsi.
L’industria dell’Entertainment comincia a capire che questo sarà uno dei business più redditizi nel futuro, con cifre da capogiro che potranno competere addirittura con alcune produzioni di film hollywoodiani.
Ed è in questo contesto che nasce e si diffonde il fenomeno delle “sale giochi” con i famosi coin-op , contrazione di coin-operator, le macchine che per funzionare richiedevano l’inserimento di gettoni e permettevano al giocatore di turno, di sfidare la macchina oppure di scontri 1 contro 1 su percorsi automolistici, piuttosto che incontri di lotta, invasori alieni e via discorrendo.
Saghe dall’ormai imprecisato numero di episodi hanno origine proprio negli Eighties; basti pensare al solo Super Mario , il titolo più venduto nella storia dei videogiochi.
Ma anche altre altrettanto famose, il cui esordio viene spesso erroneamente attribuito alla Playstation, hanno il proprio battesimo di fuoco proprio qui e in terra nipponica più precisamente.
Se ne potrebbero citare molte e mi scuso per lo sgarbo (ma ahimé i tempi e gli spazi giornalistici lo impongono) ma già solo i nomi di Final Fantasy e Metal Gear Solid potrebbero far drizzare le orecchie a chi non pensava avessero 4-5 lustri alle spalle.
È il periodo di massima luminescenza per aziende che hanno fatto la storia non solo dei videogiochi, ma dell’informatica in toto, come Amiga e Commodore, alcune delle quali purtroppo purtroppo non sapranno reggere al peso del successo e al cambio di modello di business imposto dagli eventi.
Nomi altisonanti per grandi rivalità, come sarà quella tra Sega e Nintendo e che occuperà le pagine delle riviste specializzate, degli spot, delle conversazioni degli allora adolescenti impegnati a difendere la propria console e il proprio marchio del cuore.
Sembrano passati secoli per chi ha vissuto in prima persona quelle esperienze ed è cresciuto con in mano un joypad squadrato composto da una croce direzionale e 2 miseri pulsanti A e B. Ma le discussioni di ieri sembrano le discussioni di oggi, la stessa empatia per “semplici” oggetti fatti di plastica e di metallo.
E’ vero gli attori sono quasi interamente cambiati: la Sega ha alzato bandiera bianca e si dedica quasi esclusivamente al software, Atari viaggia sul filo del rasoio ,la Microsoft si è imposta all’attenzione del mercato con il progetto Xbox e ne ha raccolto i favori a danno della Sony; l’unica sopravvissuta ai terremoti è Nintendo sostanzialmente.
E’ vero, e caratteristiche delle macchine sono molto diverse, la grafica, l’esperienza utente con il gioco online ma la passione è rimasta la medesima, così come i fanboy c’erano allora, ci sono adesso e ci saranno in futuro, molto probabilmente, perché il videogioco coinvolge, appassiona.
E la storia in qualche modo “si ripete”, come asseriva Giovambattista Vico, procede a cicli, con corsi e ricorsi storici appunto.
Eppure…eppure nessuno può levarmi dalla testa il profumo del blister cartaceo di un gioco appena comprato e che nascondeva chissà quali tesori.
L’emozione di infilare la cartuccia intonsa, accendere il pulsante Power e vedere gli sprite, che allora si contavano sulle dita di una mano, muoversi su e giù per lo schermo, descrivendo panorami che al tempo andavano anche un po’ immaginati, perché la potenza computazione delle console era quel che era.
Questo hanno significato gli anni 80, quei magnifici anni 80.