Solo pochi giorni fa ho avuto modo di esplicitare, attraverso l’esempio di Business Insider, alcune perplessità circa l’influenza che il modello di remunerazione dell’editoria ai tempi di Internet (una parola che mi ostino a scrivere con la maiuscola), genera sui contenuti della rete stessa.
Un paio di giorni fa è pervenuto un commento ad un pezzo di due anni e mezzo fa intitolato ADblock, Safari 5 e il diritto a non “pagare”. L’autore del commento ha linkato un suo contributo in cui sostanzialmente elogia ADblock poiché gli dà modo di “premiare” con la visione dei banner, un sito i cui contenuti gli aggradano, mentre tutti gli altri per quanto lo riguarda possono anche chiudere. L’articolo originale è reperibile qui.
Si tratta di una posizione che, per quanto radicale, reputo piuttosto diffusa, perlomeno in una buona parte di coloro che usano ADblock. Come sapete io mi occupo di pubblicità su Internet e, col mio lavoro, do un piccolo contributo all’esistenza di siti visitati ogni mese da milioni di utenti unici.
Non credo tuttavia pesi troppo il mio ruolo nella questione, quando giungo alla conclusione che obiezioni simili a quelle riportate nell’articolo linkato, sono talmente prive di senso da essere enormi.
Da lustri l’unico modo di fare editoria su Internet è quello di finanziarsi tramite la pubblicità. L’editore che oggi abbraccia questo modello fa semplicemente l’unica cosa sensata per poter solo sperare in un guadagno. Questo è un fatto, ahimè con rare eccezioni.
Per inciso, il modello di pagamento per le notizie verrà, se verrà, imposto. Quando? Quando i maggiori editori nazionali troveranno il coraggio di fare quadrato e sovvertire le regole che governano Internet fin dai primi giorni. Regole che, lo ribadisco, sono “entrate in vigore” ben prima di provare qualsivoglia validità in merito alla sostenibilità dei modelli economici risultanti. Anche quando si dovesse configurare il “blocco” collettivo di cui sopra, il motore di ricerca per eccellenza, essendo anche il primo venditore di pubblicità al mondo – e distributore di una notevole ricchezza a vantaggio degli editori, sempre tramite gli odiati banner – avrebbe tutto l’interesse a preservare lo status quo: editoria gratuita per l’utente finale, col sostegno della pubblicità.
Tornando all’editoria del tutto gratis, sono contento che le cose vadano così? No. Credo che la retroazione di questo modello sulla qualità dei contenuti sia positiva? No, infatti l’ho scritto. Altre vie all’orizzonte tuttavia non ce ne sono: di utenti disposti a consumare la tastiera per inveire contro i banner ce ne sono molti, di pronti a pagare per contenuti di qualità, al contrario, molto pochi. D’altronde se sia stata l’editoria internettiana a determinare l’ostilità di alcuni utenti rispetto alla pubblicità, o l’ostilità degli utenti verso il pagamento delle notizie a determinare lo stato attuale dell’editoria – pubblicità in primis – non è materia di facili conclusioni.
Di certo chiunque voglia oggi sviluppare un business editoriale deve aggirare, in un modo o nell’altro, la generale mancata disponibilità dell’audience a pagare i contenuti che andrà a produrre, con buona pace di chi reputa la pubblicità uno dei tanti mezzi per sostenere un sito web – a pensarci bene un altro ce n’è, si chiama marchetta, e ADblock non può farci nulla.
Chioso sulla presunta “morale di ADblock”, argomento che il pezzo citato poc’anzi tenta di esaurire. Se io volessi essere selettivo e non trovassi valore in quel che leggo, abbandonerei il sito, che non mi costerebbe neppure la fatica di installare ADblock. Se al contrario un sito m’interessasse, di ADblock non avrei comunque bisogno, perché sarei felice di remunerarlo visualizzandone i banner. Se invece decidessi di continuare a visitare un sito in cui non riconosco valore con ADblock attivo, sarebbe proprio la mia morale selettiva a ingabbiarmi nel ruolo dello scroccone.
Più in generale, se la macchina dell’editoria su Internet non funziona, per ripararla non basta toglierle il carburante: in questo modo, al contrario, si rende solo il sistema più subdolo, specialmente ai danni di coloro che lo subiscono passivamente.