Ormai sono passati 4 anni e più da quanto debuttò il processore che segnò la fine del mito dei megahertz: il Pentium 4 con core Prescott. Questo fu una rivisitazione completa dell’architettura della storica CPU, al punto che in diversi si chiesero come mai non fu chiamato Pentium 5.
Mamma Intel gli diede una pipeline così lunga che le istruzioni si perdevano per strada, lo produsse con la nuova tecnologia a 90 nm perchè fosse più parco nei consumi ma lui si ubriacava di watt peggio del fratello, lo pensò per volare a 5 GHz ma c’era lo sciopero dei controllori. Scherzi a parte, la storia la conosciamo tutti: Intel incappò in impreviste dispersioni di corrente che affliggevano i processi produttivi dai 90 nm in giù, e non riuscì mai ad esprimere il potenziale di una CPU concepita per lavorare a frequenze ben più alte di quelle mai raggiunte.
Nel contempo AMD conquistava la leadership con il suo ottimo Athlon 64, che sfoggiava un IPC (Istructions Per Clock) di tutto rispetto.
Intel, con un paio di anni di ritardo, si mise allora al lavoro per trasporre ciò che di buono aveva realizzato con il Pentium M nel segmento desktop e server. Ne conseguì una rivoluzione da cui nacque un processore efficiente sia dal punto di vista energetico che da quello di di istruzioni per ciclo di clock; fu proposto in versione single e dual core, e fu chiamato con grande fantasia Intel Core. Fu la svolta.
Con la morte dell’architettura NetBurst morì anche il mito dei megahertz, e nacque contestualmente il mito dei core, per cui oggi siamo arrivati a quattro ma ci hanno già rassicurato che stanno per arrivare gli otto. Si, loro, quegli stessi che da quando hanno partorito il primo processore dual core si chiedono come sfruttarne le potenzialità, al di là delle solite quattro cose (benchmark, rendering 3d, encoding audio/video).
Rivoglio il mito dei megahertz. Magari 2000 non significava il doppio esatto in termini di velocità di 1000, però grossomodo c’eravamo. A parità di architettura era con buona approssimazione vero. Ora raddoppiano i core e l’unico beneficio per l’utente medio è che ogni tanto lo scheduler del sistema operativo ne fa lavorare uno, poi l’altro e così via, a rotazione; in questo modo non si affaticano troppo, che poi sudano.
La confusione in questo contesto è testimoniata dall’attuale detentore del record assoluto di frequenza operativa per un processore commerciale. No, non è il Prescott con i suoi 3,8 GHz: è il POWER6 di IBM con i suoi rispettabili 4,7 GHz. Un processore da mainframe clockato a livelli mai visti dalle CPU consumer, dotato di soli due core contro i quattro attualmente in voga nei desktop. Non ci si capisce più niente!