Un interessante pezzo di Paolo Bottazzini su Linkiesta racconta la fine della luna di miele fra Washington Post e Guardian da un lato e Facebook dall’altro.
Come potete leggere nella fonte, entrambe le testate hanno deciso di rimuovere la propria Facebook app e riportare in casa il social reader.
L’aspetto che più trovo significativo della vicenda – vi consiglio di apprenderla per intero sul pezzo linkato – è la sovversione, effettuata dal social reader di Facebook, dei criteri di rilevanza stabiliti dall’editore.
Come scrive l’autore infatti:
Da un lato questa procedura finisce per promuovere gli articoli più popolari, senza alcun riguardo né per la qualità della produzione, né per la focalità degli argomenti rispetto alle direttive strategiche del piano editoriale della testata; dall’altro lato i principi di funzionamento dell’algoritmo tendono a rinchiudere i lettori nella «filter bubble» che li espone solo alle informazioni in cui l’utente e la sua cerchia di amici vorrebbero trovare la descrizione del mondo nella sua complessità.
Una testata che sottopone ai suoi interlocutori solo le storie che vorrebbero sentirsi raccontare come rappresentazione della realtà si sottrae al compito etico e politico di contribuire a formare la coscienza critica dei lettori.
Come immaginerà chi da tempo segue la rubrica semisegreta il tarlo, in linea di principio comprendo perfettamente questa obiezione: la selezione del rilevante dall’irrilevante e l’ordinamento degli argomenti in base ad un criterio di rilevanza rappresentano buona parte dell’anima “etica e politica” di una testata editoriale.
Alla rilevanza è legato anche il cruciale tema della “filter bubble”: la concreta possibilità di ritrovarsi – con la complicità dei social network e delle SERP personalizzate di Google – sempre più rinchiusi in una Internet fatta di noi stessi, dei nostri interessi, sempre più incapaci di scontrarci con qualcosa di esterno ai nostri temi preferiti e, perché no, diverso dalle nostre opinioni esistenti. Una Internet che in ultima analisi ci rende solo più ignoranti e ottusi.
Una Internet che, dietro le sembianze di gratuità e apertura, è sempre più modellata attorno all’influenza di giganti assetati di danaro come Google e Facebook, sta diventando sempre meno adatta ad ospitare una funzione fondamentale per la preservazione di ogni parvenza di democrazia: l’informazione. Ben venga in tal senso un’opposizione “culturale” alla Facebook-izzazione delle notizie.