Per la rubrica Energia e futuro, oggi è stato ripreso e ampliato il pezzo di lunedì 17, al fine di dare una più ampia ed estensiva copertura al tema.
Come preannunciato alcune settimane fa, il periodo storico degli anni ’60 è stato estremamente ricco di velivoli interessanti, alcuni dei quali necessitano, per la loro importanza o per le loro caratteristiche particolari, di una presentazione più dettagliata al punto da richiedere un singolo post “monografico”.
Tra questi ci sono stati (ad eccezione di una piccola parte sul McDonnel Douglas F-4 “Phantom”) il North American XB-70 “Valkyrie”, il MiG-25 “Foxbat” ed anche il protagonista di quest’oggi monopolizzerà il post odierno.
UNA SPIA SUPERSONICA D’ALTA QUOTA – IL “BLACKBIRD”
La necessità di sostituire i ricognitori d’alta quota Lockheed U-2, per certi versi nati “obsoleti” non essendo caratterizzati da prestazioni (eccetto la quota operativa) particolarmente esaltanti, oltre che estremamente problematici sul fronte della maneggevolezza (tra l’altro gli U-2 nacquero come stretti parenti dell’F-104 di cui abbiamo già parlato in precedenza), portò alla richiesta da parte della Difesa Statunitense di un ricognitore caratterizzato dall’elevatissima quota operativa e da una velocità di crociera tre volte supersonica.
Tale progetto rappresentava per l’epoca un passo tecnologicamente importantissimo, in quanto richiedeva di affrontare problematiche fino ad allora mai affrontate, o comunque riguardo alle quali le conoscenze erano fortemente limitate.
DALLA SEGRETA AREA51 NASCE UN AEREO MISTERIOSO… ANZI… TRE!!! (O FORSE QUATTRO?!)
Le richieste della Difesa Statunitense portarono la Lockheed (grazie al geniale progettista Clarence “Kelly” Leonard Johnson) a sviluppare un aereo davvero particolare ed oggi conosciuto dai più, sebbene all’epoca del suo sviluppo esso fu oggetto di un livello di segretezza tra i più elevati in assoluto.
Tale velivolo è il Lockheed SR-71, forse maggiormente conosciuto con il suo nome non ufficiale “Blackbird“, sebbene questo nome sia rappresentativo di una famiglia di velivoli della quale l’SR-71 è sicuramente il più noto, ma nonostante questa maggiore fama può vantare non uno, ma ben due “fratelli eccellenti”, sviluppati quasi contemporaneamente ma, al contrario dell’SR-71, caratterizzati da una breve (se non brevissima) vita operativa, pertanto andiamo a fare la loro conoscenza prima di parlare del celebre SR-71.
IL PROGETTO ARCHANGEL ED IL PRIMO RICOGNITORE TRI-SONICO: IL LOCKHEED A-12
Verso la fine degli anni ’50 si stava facendo pressante per le autorità USA la necessità di migliorare notevolmente le capacità ricognitive fino ad allora soddisfatte mediante i lenti Lockheed U-2 i quali, proprio in virtù della velocità operativa contenuta (e quindi consumi ridotti), potevano operare con una notevole autonomia.
La necessità di sostituirli era principalmente dettata dalla vulnerabilità di questi velivoli in quanto, sebbene operanti a quote molte elevate (la tangenza dell’U-2 è di 21.385 metri), essi erano oramai raggiungibili dalla contraerea Sovietica grazie alle nuove postazioni missilistiche SAM, pertanto le nuove richieste puntavano verso un velivolo caratterizzato da una superiore quota operativa unitamente ad una elevata velocità, in modo da renderne l’intercettazione (e l’attacco) estremamente difficoltosa.
Rispondendo all’interesse manifestato dalla CIA, concretizzatosi nel progetto ARCHANGEL, di disporre di un ricognitore caratterizzato da una velocità di Mach3, la Lockheed rispose sviluppando in a tale scopo una serie di velivoli sperimentali contraddistinti dalla sigla A seguita dal numero del velivolo, da 1 a 12, in quanto ne vennero realizzati appunto 12.
Tali velivoli rappresentavano dei vari banchi prova volanti, caratterizzati ciascuno da differenti soluzioni tecniche al fine di individuare la migliore configurazione per rispondere ai requisiti stabiliti dal committente.
(Lockheed A-12 in una visione d’insieme)
La serie di prototipi terminò con il numero 12, modello con il quale venne individuata la migliore configurazione del velivolo, e dal quale venne iniziata la produzione di 12 esemplari di serie (nome in codice “OXCART”), numero apparentemente basso, ma considerata la particolarità dell’aereo e la sua inusualità (oltre ai costi proibitivi, sia di produzione che di esercizio, paragonati ai normali aerei fino ad allora sviluppati) tale numero può apparire più che ragionevole.
Se la realizzazione dei 24 velivoli (12 prototipi + 12 velivoli di serie) venne fatta nella celebre divisione “Skunkworks” degli stabilimenti Lockheed di Burbank, la segretezza imposta dalla CIA sull’intero progetto richiedeva una base isolata e lontana dagli occhi indiscreti (sebbene già allora si dovevano fare i conti anche con i satelliti di sorveglianza Sovietici), pertanto i velivoli vennero trasferiti a Groom Lake nella cosiddetta Area51, dove oltre all’isolamento necessario era anche disponibile una pista di decollo sufficientemente lunga (in realtà la pista era inizialmente più corta, ma venne allungata in funzione di tale progetto).
Gli espedienti per evitare i satelliti spia Sovietici richiesero continue interruzioni delle prove in prossimità del passaggio di tali “occhi indiscreti” sulla zona interessata, ma nonostante questi limiti il lavoro procedette speditamente.
Un ulteriore limitazione iniziale consisteva nei motori utilizzati, dei turbogetto Pratt&Whitney J75, i quali non erano in grado di portare l’A-12 alle velocità previste, ma a tale limitazione venne posto rimedio abbastanza rapidamente grazie all’impiego degli allora nuovissimi motori “ibridi” Pratt&Whitney J58.
Su tale motore si potrebbero scrivere intere pagine dettagliate, ma proverò a parlarne in futuro quando passeremo dai velivoli supersonici a quelli ipersonici, e per il momento mi limiterò a fornire solo una descrizione superficiale.
Tale motore era composto da una tradizionale configurazione a turbogetto che permetteva una spinta adeguata a portare l’A-12 (ed i successivi utilizzatori) a velocità superiori a Mach2.
Velocità superiori non erano facilmente raggiungibili con questa configurazione a causa dei fenomeni fluidodinamici (o meglio, gasdinamici) che avvengono al suo interno, ma grazie all’adozione di opportune valvole di bypass era possibile deviare il flusso d’aria in ingresso direttamente al combustore saltando sia gli stadi del compressore che quelli della turbina, ovvero operando da Statoreattore.
La grande velocità relativa tra l’aereo e l’aria, unitamente ai fenomeni di onde d’urto opportunamente sfruttati, permettevano la naturale compressione dell’aria in maniera tale da garantire una stabile combustione ed una spinta tale da permettere il raggiungimento di velocità superiori a Mach3.
L’elevatissima velocità raggiungibile richiedeva una costruzione particolare, in quanto la superficie era assoggettata a temperature tali da non consentire l’impiego delle usuali leghe di alluminio, pertanto si fece largo uso del titanio.
Se l’A-12 era tra tutti i velivoli fino ad allora sviluppati insieme al Valkyrie ed al MiG-25, era sicuramente il più “eccentrico” in quanto ad aspetto, caratterizzato com’era di una fusoliera lunghissima ed estremamente snella, dalla forma in sezione che lo faceva somigliare al muso di un’oca, animale che ha dato poi il nome all’unico modello biposto dell’A-12 (utilizzato per l’addestramento), noto come “Titanium Goose“:
(Lockheed A-12 biposto “Titanium Goose”)
(Lockheed A-12 in versione biposto – particolare del muso)
(Lockheed A-12 in decollo da Groom Lake)
Il primo volo dell’A-12 avvenne nel 1962, mentre l’entrata in servizio risale al 1967, alla quale seguì una brevissima vita operativa, uscendo dal servizio circa un anno dopo, nel 1968.
DA UN RICOGNITORE AD UN INTERCETTORE TRI-SONICO
Quasi contemporaneamente all’A-12 venne sviluppato un progetto da esso derivato, consistente in un caccia intercettore ad elevatissima velocità, il quale finì per essere in larga parte una modifica dell’A-12: il Lockheed YF-12.
I costi elevati per lo sviluppo dell’A-12 hanno probabilmente influito sullo sviluppo dell’YF-12 in quanto la possibilità di utilizzare le stesse linee produttive permetteva un minore costo rispetto ad un progetto completamente nuovo, ma nonostante ciò la vita dell’YF-12 è stata non molto più lunga di quella del suo fratello maggiore, avendo visto il primo volo nel 1963 e l’uscita dal servizio (anche se rimasero operativi con la NASA fino al 1979) nel 1968.
Le differenze più sostanziali dell’YF-12 rispetto all’A-12, almeno sul piano visivo, consistevano in sostanziali modifiche al muso, necessarie all’installazione dei dispositivi radar per l’intercettazione, ed all’installazione sotto le ali, tra la fusoliera ed i motori, dei dispositivi d’arma.
Dalle seguenti immagini si possono vedere alcune di queste differenze:
(Lockheed YF-12 in volo)
(Lockheed YF-12 a terra in una immagine d’epoca)
Riguardo all’YF-12 non c’è molto da aggiungere, trattandosi come già detto di un aereo molto simile tecnicamente all’A-12, e similmente a questo è stato caratterizzato da una breve vita operativa, influenzata sicuramente dagli elevati costi operativi e di sviluppo, oltre che dal timore che tali investimenti potessero influenzare il buon sviluppo dell’XB-70 “Valkyrie”, sebbene anche quest’ultimo abbia subito una sorte analoga.
Una motivazione dell’interruzione di tali progetti (YF-12 ed XB-70) che è necessario aggiungere a quella dei costi è una constatazione della superiorità nelle prestazioni di tali velivoli rispetto ai bombardieri Sovietici dell’epoca, superiorità talmente marcata da trasformare dei progetti innovativi in spese non più giustificabili.
IL NUOVO RICOGNITORE SUPERSONICO PRENDE FORMA: IL LOCKHEED SR-71
Se i due aerei finora presentati non furano caratterizzati da grande fortuna, il progetto SR-71 riuscì invece ad avere una vita operativa sufficientemente lunga, grazie ad alcune caratteristiche del progetto superiori rispetto ai velivoli fratelli, ed in particolare rispetto all’A-12, con il quale condivideva la tipologia di ricognitore.
L’SR-71 è stato presentato poco dopo l’A-12 (ed è stato sempre dotato dei propulsori Pratt&Whitney J58), ma rispetto a questo era inferiore su vari fronti, primo tra tutti quello velocistico (sebbene fosse sempre in grado di superare Mach3), ed in secondo luogo sul fronte del rilevamento fotografico, non essendo dotato di sistemi fotografici di risoluzione così elevata rispetto all’A-12.
Dall’altra parte però bisogna sottolineare che, a causa di un accordo tra USA ed URSS, non era più possibile sorvolare il territorio Sovietico direttamente, pertanto l’SR71, essendo dotato di un sistema capace di rilevare “perifericamente” l’obiettivo, poteva esplorare il territorio Sovietico senza varcarne i confini.
Questa caratteristica ha sicuramente influito positivamente sulla scelta di preferire l’SR-71 all’A-12, anche se probabilmente si deve aggiungere l’innovativa capacità “stealth” dell’SR-71, ovvero una particolare verniciatura che ne riduceva la traccia radar, caratteristica che rende immediato pensare che venisse sfruttata (ma è un’ipotesi personale) per penetrare nel territorio Sovietico senza farsi rilevare chiaramente dai radar.
Le missioni alle quali i piloti partecipavano erano lunghissime e segretissime, al punto che riguardo ad esse ancora oggi si conoscono ben pochi dettagli.
Degna di nota è un’altra caratteristica riguardante i serbatoi, infatti essi non erano a tenuta stagna quando l’aereo non era in volo, fattore che causava delle perdite di carburante a terra, in quanto i serbatoi erano realizzati in modo da compensare le deformazioni alle quali sarebbero stati assoggettati in volo a causa delle sollecitazioni termiche e meccaniche, e tale fattore richiedeva che l’aereo decollasse con una quantità minima di carburante, per poi rifornire pochi minuti dopo (circa 7 minuti) e procedere con la missione senza necessità di ulteriori interventi per circa 2500 miglia (circa 4000 km).
La somiglianza dell’SR-71 con l’A-12 è notevole, ma a differenza di quest’ultimo (ed analogamente all’YF-12) l’equipaggio era composto da due elementi.
(Lockheed SR-71)
(Lockheed SR-71 – Courtesy of NASA)
(Lockheed SR-71 ed U-2 in volo – Courtesy of Lockheed-Martin)
La vita operativa di questo velivolo è stata piuttosto lunga, dal primo volo nel 1964 all’entrata in servizio nel 1966, per poi venire ritirato nel 1989 da parte dell’USAF, mentre la NASA li ha utilizzati fino al 1999, e durante questa lungo periodo sono stati numerosi i record superati dall’SR-71, in particolare riguardo la massima quota raggiunta in volo e la massima velocità raggiunta.
IL QUARTO MEMBRO DELLA FAMIGLIA
Un ulteriore membro della famiglia Blackbird , nonché l’ultimo e più sfortunato di tutti, è stato l’M-21.
La nascita di questo velivolo è legata all’accordo tra USA ed URSS di non sorvolo del territorio avversario ad opera di velivoli dotati di personale a bordo, pertanto l’idea alla base dell’M-21 fu quella di utilizzare un drone (denominato D-21) trasportato e lanciato da un velivolo ad alte prestazioni (necessario per utilizzare sistemi di propulsione basati su statoreattori).
Lo sviluppo dell’A-12 rappresentava lo strumento ideale per tale nuovo velivolo, e proprio dalla linea di produzione di quest’ultimo vennero prodotti due ulteriori velivoli opportunamente adattati e denominati con la nuova sigla.
La differenza più sostanziale dell’M-21 rispetto all’A-12 consisteva nel pilone di supporto del drone D-21 (e della presenza dello stesso) e delle varie modifiche necessarie al lancio del dispositivo, il quale era sostanzialmente un “aereo a perdere”, ovvero un velivolo che si sarebbe distrutto al termine della missione, dopo avere sganciato il sistema fotografico in territorio amico.
Il Lockheed M-21 con il drone D-21 sono visibili nelle seguenti immagini:
(Lockheed M-21/D-21 in prossimità di un’aerocisterna)
(Lockheed M-21/D-21 in volo)
La vita di questo velivolo fu brevissima e costellata da diversi insuccessi, compresa la morte dell’addetto al lancio del drone a causa della collisione di questo con l’aereo madre durante un lancio, e probabilmente anche questi fattori hanno influenzato il conseguente successo dell’SR-71.
Con questo lungo post anche per oggi è tutto, vi rinnovo l’appuntamento alla prossima settimana, sempre su AppuntiDigitali, sempre con la rubrica Energia e Futuro.