Oggi e domani Eleonora e Simone esporranno i loro rispettivi punti di vista in merito alla sentenza che ha colpito i membri della commissione Grandi Rischi. Tutto quanto leggerete non tiene ovviamente conto delle motivazioni della sentenza, che verranno depositate fra alcune settimane. Abbiamo ritenuto di esprimerci sul tema comunque, prima che altri argomenti seppelliscano l’attuale dibattito, dispostissimi a prendere atto di qualunque nuovo elemento emerga nei prossimi giorni.
Il post odierno non segue il topic della rubrica, ma è frutto di alcune considerazioni fatti all’indomani della notizia della condanna dei sette imputati, membri della commissione Grandi Rischi, al processo relativo al terremoto dell’Aquila.
Vorrei premettere che tale post è frutto di riflessioni e considerazioni personali, e che in nessuna parte riflette eventuali posizioni di AppuntiDigitali e degli altri autori.
IL PROCESSO E LA CONDANNA
Su quanto avvenuto a l’Aquila molto è stato scritto nei vari media, tra accuse trasversali, presunti interessi personali e dibattimenti nelle aule dei tribunali ancora in corso, e che probabilmente solo tra alcuni anni permetteranno di fare chiarezza sull’intera vicenda, ma indubbiamente la notizia che più di tutte ha fatto scalpore nel dopo terremoto è stata proprio quella relativa alla condanna a sei anni di carcere rivolta ai sette membri della commissione Grandi Rischi, che qui elenco (sperando che le affiliazioni siano corrette):
- Bernardo De Bernardinis: Direttore dell’ISPRA e Vice Responsabile della Protezione Civile
- Franco Barberi: Professore Ordinario di Vulcanologia (in pensione)
- Enzo Boschi: all’epoca direttore dell’INGV
- Mauro Dolce: Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni e Direttore dell’Ufficio Valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile
- Giulio Selvaggi: Dirigente di Ricerca dell’INGV
- Claudio Eva: Professore Ordinario di Fisica Terrestre dell’Università di Genova e membro del consiglio direttivo dell’INGV
- Gianmichele Calvi: Professore di Ingegneria Strutturare presso l’Università di Pavia
Tale condanna è subito apparsa agli occhi dei più come un’attacco alla scienza, e tale è stata la risonanza di questo evento da suscitare l’interesse dei media internazionali oltre che dei maggiori scienziati di tutto il mondo che svolgono i propri studi sui terremoti, i quali si sono schierati in difesa dei condannati, confermando l’impossibilità di prevedere gli eventi sismici, pur in presenza di un’attività persistente come avveniva nell’Aquilano nei giorni precedenti al 6 aprile 2009.
Non voglio utilizzare le pagine di AppuntiDigitali per esprimere il mio parere personale sul processo, in quanto non ritengo appropriato l’utilizzo di tale mezzo di comunicazione per tale fine, anche in considerazione del fatto che tale vicenda è sicuramente più complessa di come appare, e solo quando verranno depositate le motivazioni della sentenza sarà possibile fornire giudizi nel merito, ed inevitabilmente tale vicenda farà parlare di se ancora per lungo tempo, considerando che la sentenza di primo grado è solo il primo gradino di un processo che si preannuncia lungo e complicato, ma vorrei riflettere insieme a voi su un altro punto conseguente che espongo nel seguito.
LA SCIENZA VISTA DALL’ESTERNO: UNA TORRE D’AVORIO OD UN MONDO APERTO?
Alcuni commentatori (come ad esempio il giornalista de “Linkiesta“, ma non solo) hanno messo in evidenza come il fatto contestato agli imputati non fosse la prevedibilità o meno dell’evento poi occorso nella città Abruzzese, quanto l’avere fornito comunicazioni “inesatte, incomplete e contraddittorie“.
Sotto questo aspetto diventa sicuramente evidente la delicatezza del rapporto tra Scienza, la quale studia gli eventi e deve fornire il supporto scientifico conseguente, e Politica, la quale deve utilizzare tali informazioni per prendere le decisioni su qualsivoglia materia, ma tale rapporto richiede da una parte la capacità degli scienziati di comunicare non solo ai propri pari, dall’altra la capacità della politica (e quindi di tutti i cittadini) di sviluppare un interesse verso la scienza senza attendere da essa risposte che non potrebbero essere dei semplici SI – NO, proprio perché l’analisi di un fenomeno non si può ridurre facilmente ad una semplice risposta Booleana, come invece deve essere la decisione conseguente.
Tale difficoltà è stata evidenziata da vari scienziati anche in relazione ad un rapporto che, a causa di questo precedente, rischia di rendere molto difficile il lavoro consultivo degli scienziati riguardo temi sensibili, e sicuramente tra i punti da affrontare in maniera comune (Scienza – Politica) ci sarà quello di definire il limite (sebbene spesso non possa essere che sfumato) tra le due parti.
Senza una adeguata apertura verso il mondo civile, la scienza rischia di trasformarsi in una torre d’avorio impenetrabile per i “non addetti ai lavori”, più di quanto non lo sia per la sua stessa natura specialistica, ma purtroppo oggi la divulgazione scientifica non è vista come un dovere da parte di chi vive di scienza, lasciando pertanto il campo aperto a chiunque voglia occuparsene, in molti casi senza un minimo di preparazione scientifica adeguata.
Dall’altra parte ci si scontra spesso con una platea che si limita a volere delle risposte, senza dedicare il tempo necessario allo studio dell’argomento, vanificando così anche le migliori intenzioni, ed esempi di tutto ciò (quindi di entrambi i mondi) sono presenti anche tra i molti commenti delle varie rubriche di AppuntiDigitali, scritte da autori che nella vita generalmente si occupano di materie affini a quanto poi trattano nei rispettivi post.
Vi invito ad una riflessione sulle questioni esposte in quest’ultima parte, senza entrare nel merito del processo che sicuramente farà ancora discutere, ma gradirei se lo facesse in altre sedi e non nei commenti ad un post che non vuole assolutamente fornire un giudizio su di esso.