La scorsa settimana con il post Le 10 candeline di RedHat Enterprise Linux abbiamo parlato del primo decennio di Red Hat Linux Enterprise.
In merito alle difficoltà di Linux di trovare un sufficiente apprezzamento in ambito desktop, volevo evidenziare l’ottimo commento di “Flare”, che approfondisce il discorso e che vi riporto integralmente.
Commento di Flare
È chiaro che un sistema operativo per desktop è più complesso. Ma Torvalds dice anche (su linuxfr.org):
Of course, what’s interesting is how smartphones are slowly starting to share many of those desktop complexities. It may not be there yet (and maybe it never will be), but phones already have a fair amount of the same rich and complex media issues that desktops have, and are getting more varied uses.
Ci sono però anche altri problemi per le distro desktop:
- sapere che esistono e com’è il SO realmente (e non per sentito dire)
- il fattore abitudine
- l’installazione
- l’ecosistema
Se Windows 7 o OSX fossero stati resi disponibili solo in retail, vorrei vedere quanti utenti sarebbero stati capaci o avrebbero avuto tempo e voglia di installarsi il sistema operativo da soli, trovare i driver, configurare tutto…
Ha ragione Torvalds quando dice (in sostanza) che a gran parte delle persone interessa il computer per usarlo, non per smanettarci o imparare dove mettere le mani. Io ho installato e configurato GNU/Linux per pensionati e ragazze che non avevano alcuna dimestichezza coi computer e si sono trovati benissimo (e fanno anche meno pasticci e mi chiamano meno che con Windows), ma gliel’ho installato io e devono solo usarlo.
Però una cosa che può spaesare e infastidire, per quanto i repository siano comodi, è che di solito il software non viene aggiornato, se non ogni tot mesi, salvo usare pacchetti forniti da terze parti, come le ppa su Ubuntu. Ubuntu ha avuto più successo di altre per la sua facilità di installazione e setup. Ma una semi-rolling come Chackra rende gli aggiornamenti più fluidi.
Un altro scoglio è il fattore abitudine: anche uno che ci sa fare e ha voglia di smanettare, si dovrà adattare ad un ambiente diverso da quello a cui aveva fatto abitudine e sviluppato automatismi. Perfino il solo spostare i pulsanti di chiusura da destra a sinistra (come ha fatto Ubuntu) comporta un disagio, sebbene ci si abitui; figuriamoci un’interfaccia sensibilmente diversa o che la stravolge come Unity o Metro (ma accade anche passando da Windows 3.x a 9x/ME a XP a Vista/7). Tralasciando quando ci sono degli effettivi peggioramenti o qualcosa diventa più macchinoso di prima, il fattore abitudine conta parecchio, specialmente quando devi imparare di nuovo a fare quello che facevi già o scoprire dove devi andare ora per configurare qualcosa.
Ma non solo, per quanto interfacce come quella di KDE possano rendere il passaggio più confortevole per chi viene da Windows, dietro la superficie dell’interfaccia cambia tutto, a partire dal filesistem.
Ma anche passare da Gnome a KDE e viceversa può incontrare resistenza (anche quando non si è fanboy/fangirl).
Una cosa che aiuta molto è usare programmi multi piattaforma. Se per esempio ritrovi il tuo stesso browser, il tuo stesso programma di scrittura, di grafica e così via, ti senti subito già molto più “a casa”, ma questo dipende dall’utente. Io ho sempre cercato di usare software open e/o cross platform, così non ho finito col legarmi al software presente solo in un particolare SO.
Infatti una seria resistenza viene proprio dal software. Potrebbe non esserci il software che sei abituato ad usare ed eventuali alternative potrebbero non soddisfarti. Wine mette un po’ una pezza, permettendo di usare software per Windows su Linux, perfino dei videogiochi. Ma ci sarà sempre quel gioco, quel dispositivo ecc. disponibile solo per Windows. Microsoft ha creato intorno a sé un notevole ecosistema. Fornisce ottimi tool di sviluppo, fa accordi… e qui c’è anche il cane che si morde la coda: gli utenti non usano il SO perché non c’è il software, chi produce software non fa un port perché è solo un 1%… e per di più ci sono complicazioni dovute alla frammentazione (qt? GTK?, pacchetto deb o rpm? Per ognuno di questi una versione 32 e 64 bit, poi in passato i vari ALSA, OSS, ESD, ecc hanno creato grattacapi e ancora adesso l’audio di Second Life su Linux è problematico, per esempio) o alle licenze. Opera è uno dei pochi sviluppatori non open che rilascia regolarmente anche per Linux, ma ha dovuto fare un po’ i salti mortali e alla fine ha fatto un gran lavoro per creare un interfaccia indipendente da GTK e qt, che si adatta da sola e sembrare nativa, anche se non ci riesce alla perfezione.
Infine il sistema operativo poi deve essere conosciuto e deve avere un buon marketing. Le distro per desktop non sono quasi per niente pubblicizzate, pochi ne hanno sentito parlare e ancora meno sanno cosa sia realmente. Ci sono invece dei pregiudizi.
Insomma puoi avere il SO più bello, più usabile ed efficiente del mondo (no, non è Linux), ma se oltre ad avere i suoi lati meno “ergonomici” da smussare, e devi anche installartelo da te, comunque con meno supporto hardware e con meno software (o non quello su cui hai fatto abitudine e hai imparato ad usare bene), e per di più resta sconosciuto ai più, come possono sperare che si diffonda?
Io da anni uso quasi solo Linux su desktop, ma è evidente che ci sono diversi problemi alla sua diffusione.
Tanto di cappello (rosso) a Red Hat, comunque.