Come segnalato da Stefano Quintarelli – la cui candidatura all’AGCOM vi suggerisco spudoratamente a sponsorizzare! – Joaquin Almunia, vice presidente della Commissione Europea con responsabilità sulla competizione, ha espresso in un comunicato stampa una serie di preoccupazioni relativamente al ruolo di Google – in riferimento ovviamente alla sua quota di mercato – nell’economia di Internet.
Innanzitutto, nei suoi risultati di ricerca web, Google mostra collegamenti ai suoi servizi di ricerca verticale. I servizi di ricerca verticale non sono altro che motori di ricerca dedicati a specifici argomenti, come per esempio ristoranti, notizie, prodotti. A fianco del suo servizio di ricerca generale, Google opera molti servizi di ricerca verticale, in competizione con altri operatori. Nei suoi risultati generali di ricerca, Google mostra collegamenti ai suoi servizi verticali in maniera differente da quanto fa per i link dei competitor. Siamo preoccupati che questo possa risultare in un trattamento preferenziale rispetto a servizi concorrenti, che potrebbero risultare in conseguenza danneggiati.
La nostra seconda preoccupazione è correlata al modo in cui Google copia contenuto da servizi terzi di ricerca verticale, ed usa questi contenuti nella sua offerta di servizi. Google potrebbe copiare materiale originale da suoi competitor come per esempio siti di recensioni user generated, ed usare questi materiali sui suoi siti senza preventiva autorizzazione. In questo modo si appropriamo del beneficio degli investimenti dei competitor. Siamo preoccupati che questo atteggiamento possa ridurre l’incentivo che i competitor hanno ad investire nella creazione di contenuti originali per gli utenti Internet. Questa pratica può impattare per esempio su siti di viaggio o siti che offrono guide nel settore ristorazione.
La nostra terza preoccupazione fa riferimento ad accordi fra Google e suoi partner sui siti in cui Google offre [assieme a servizi di ricerca interna ndt] i suoi servizi di search advertising. Il search advertising consiste [in questo caso] nel posizionamento di annunci a fianco di risultati di ricerca risultanti dalle query nel motore di ricerca interno al sito. Gli accordi risultano in una esclusività di fatto, richiedendo ai siti di soddisfare tutti o la maggior parte dei dei bisogni di search advertising da Google, in ciò escludendo competitor nel campo dell’intermediazione di search advertising. Questo [stato di cose] potenzialmente impatta su servizi di advertising acquistati per esempio da negozi online, riviste online o servizi di broadcast.
La nostra quarta preoccupazione riguarda le restrizioni che Google pone alla portabilità di campagne online di search advertising, dalla sua piattaforma AdWords alle piattaforme dei competitor. AdWords è la piattaforma pubblicitaria di Google basata su un meccanismo d’asta, nella quale i clienti possono fare la propria offerta per il piazzamento di messaggi pubblicitari nelle pagine di ricerca di Google. Siamo preoccupati che Google possa imporre restrizioni contrattuali a sviluppatori software che impediscano loro di offrire strumenti che consentono il trasferimento di campagne attraverso le varie piattaforme di search advertising.
Devo dire che trovo più o meno fondati tutti i punti. In particolare i primi due: Google è nato ed è cresciuto nella popolarità e nella fiducia degli utenti come un intermediario neutrale rispetto ai contenuti. Nel tempo ha monetizzato questa popolarità e questa fiducia con un lucrosissimo business di search advertising. Successivamente, nell’urgenza di differenziare i suoi servizi ed estendere le sue fonti di guadagno, ha invaso settori contigui – l’e-commerce e l’intermediazione nel settore turismo sono in effetti gli esempi migliori. Le preoccupazioni che esprime la Commissione Europea poggiano sul fatto che questo cambio di strategia è intervenuto solo nel momento in cui Google ha acquisito una quota di dominante nel settore della ricerca, l’intermediazione per eccellenza nel mondo di Internet – ovverosia sul sospetto che l’azienda fondata da Page e Brin abbia agito solo nel momento in cui la sua influenza era divenuta sufficiente a condizionare l’intero mercato.
Resta fuori dalle perplessità elencate il rapporto Google-editori e il ruolo editoriale di Google, un fronte che tuttavia, come spiega Linkiesta, rimane estremamente caldo.