Questa settimana inauguriamo una serie di post dedicati a Charles Simonyi, il “papà” di Microsoft Office, la suite che domina incontrastata il settore da oltre 15anni.
Ma a differenza della suite di BigM, Simonyi non è un personaggio particolarmente noto, motivo per cui noi di AppuntiDigitali cercheremo di raccontarne la storia, ripercorrendo i momenti salienti che lo hanno portato ad essere uno degli informatici più importanti degli ultimi 30anni.
Dall’Ungheria ai laboratori Xerox
“Prendere le distanze”, si racchiude in queste poche parole la filosofia che ha accompagnato l’intera vita professionale di Charles Simonyi Jr: ogni volta che ha incontrato un problema spigoloso nel software, ha provato a superarlo valutando soluzioni alternative che ne semplificassero la risoluzione.
Simonyi nasce a Budapest nel 1948 e, probabilmente grazie all’influenza del padre (professore di fisica), dimostra da subito ingegno e amore per la tecnica. Da ragazzo realizza una macchina a quattro marce con un set di costruzioni Meccano, assecondando la curiosità di capirne il funzionamento.
Charles Simonyi nel 1962
Ma la svolta arriva una volta compiuti 15anni, quando un ex studente del padre gli trova un lavoro come assistente notturno per il calcolatore Ural II, installato presso l’Ufficio centrale di Statistica Ungherese e ovviamente di progettazione sovietica. Poiché il sistema perdeva almeno una valvola (praticamente esplodevano) ogni volta che veniva acceso o spento, l’Ufficio di Statistica decise di lasciarlo in funzione per tutta la notte. In questo lasso di tempo Simonyi aveva il pieno controllo del calcolatore, imparando a conoscerlo grazie alla programmazione di ingegnose routine per generare di “quadrati magici”, ovvero serie numeriche in cui le somme delle righe, delle colonne e delle diagonali combaciano.
Come ricorda lo stesso Simonyi, la finalità del calcolatore era quella di ottimizzare l’organizzazione delle ferrovie e dei trasporti su strada, ma
“Il computer non si rilevava all’altezza del compito: non c’era modo di inserire i dati in tempo reale sulle diverse spedizioni. Si trattava di una battaglia persa in partenza, tanto che sarebbe occorso molto meno tempo prendendo semplicemente in considerazione la domanda e l’offerta. Sfortunatamente, allora, non era politicamente corretto”.
Simonyi era letteralmente stregato da quell’immenso “armadio”:
“Amavo quel computer, anche se ero cosciente della sua inutilità”.
Ural 2 presso il Museo Nazionale della Tecnica in Ungheria
Nonostante fossero già stati creati diversi linguaggi di programmazione di alto livello (Fortran, Cobol, Lisp ecc.), l’Ural II costringe Simonyi ad interagire con una consolle e pulsanti specifici per trasferire le opportune istruzioni nella memoria del calcolatore. Si trattava, come lo stesso Simonyi racconta a Steve Lohr, autore del libro del 2001 Go To, “dell’Età della Pietra della programmazione”
“Ricordo ancora i codici, soprattutto l’odiato JUMP”
Nel 1966, a 17 anni, Simonyi ha l’opportunità di uno stage presso un’azienda di computer danese, grazie proprio all’ingegnoso lavoro svolto sull’Ural II. Si tratta di un’opportunità incredibile per un ragazzo appassionato di tecnologia, per il quale l’Ungheria “sovietica” non è certo il posto ideale. Al termine dello stage, il giovane informatico, spinto dal padre, invece di tornare in Ungheria decide di prendere il volo per gli Stati Uniti dove ad attenderlo c’era un posto da studente presso l’Università della California di Berkeley. In tutto ciò un ruolo fondamentale va attribuito a Peter Naur, uno dei padri della notazione BNF (Backus-Naur form, usata nella descrizione della sintassi dei linguaggi di programmazione), che resta impressionato dalle capacità del giovane ungherese e lo raccomanda alla prestigiosa università statunitense.
Possiamo solo immaginare come presero la notizia le rigide autorità ungheresi, visto che erano già in attesa del rientro di Simonyi per affidargli un lavoro riservato in ambito universitario.
Per fronteggiare i costi Simonyi inizia a lavorare al Computer Center di Berkeley, dove attira l’attenzione del docente Butler Lampson, una delle figure chiavi del progetto Genie del DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), pensato per dare la possibilità a più utenti di accedere con i propri terminali alle risorse di un mainframe in modalità condivisa, dando l’impressione che ognuno di essi avesse a disposizione l’intera capacità di calcolo (time-sharing).
Il Team dello Xerox PARC
Come spesso accade, soprattutto nel mondo Statunitense, il team sviluppa presto una propria spin-off (la Berkeley Computer Corporation – BCC), con lo scopo di fare business con i risultati della propria ricerca e Simonyi segue i colleghi diventando il “debugger notturno” del sistema. Uno degli aneddoti legati alla sua esperienza in BCC racconta che una sera si presentò con un completo nero trasparente (forse utilizzato per una festa, come lo stesso Simonyi ha raccontato) che, di li in avanti diventò il “completo da debugging”, visto che le attività quella sera riuscirono particolarmente bene.
Dalla BCC allo Xerox PARC il passo è breve. Infatti, nonostante le ottime premesse, la BCC fallisce qualche anno dopo e Lampson, Thacker e gran parte del team si spostano, appunto, alla Xerox, seguiti da Simonyi che nel frattempo lavora al proprio dottorato presso la Stanford University. Bob Taylor, che ha diretto per un periodo il laboratorio d’informatica del PARC in quegli anni entusiasmanti, racconta la genialità di Simonyi emergeva anche nel folto gruppo che animava il Computer Science Lab:
Simonyi durante gli anni del PARC
Al PARC, Simonyi senza saperlo, ma forse intuendolo, si trova nel gruppo di ingegneri che attraverso le proprie invenzioni avrebbe plasmato la grande rivoluzione dell’era dei PC. Grazie a vecchi e nuovi collegi del calibro di Alan Kay e Robert Metcalfe nascono infatti: l’Interfaccia Grafica Utente, la rete Ethernet, la Stampante Laser, la programmazione orientata agli oggetti (Smalltalk), in una sola parola: Xerox ALTO. Notare che il mouse non è incluso tra le loro invenzioni perché si deve al genio di Douglas Engelbart (leggasi Demo’68).
E con ALTO si conclude questo primo post dedicato al “papà” di Office. Appuntamento, come sempre, a venerdì prossimo e grazie a tutti per l’attenzione.