Un recente articolo di Alessio Di Domizio ha riportato alla mente un argomento che avevo pensato di trattare tempo fa: joypad vs joystick.
Avendo passato una parte consistente della mia carriera da videogiocatore, dall’infanzia alla maturità, prima nei bar (pochi, molto rari, quelli che, fra il ’75 e il ’76 mettevano a disposizione un cabinato) e poi nelle sale giochi, non nascondo di essere stato, e sono tuttora, un fervido sostenitore della “leva” quale strumento di input preferenziale.
Sarà una questione di abitudine o puramente affettiva, ma continuo a trovarlo molto comodo e, potendo scegliere, avrei pochi dubbi su cosa impugnare per farmi qualche partitella a Green Beret, Street Fighter II, Captain Commando, Robocod, Bruce Lee, ecc.
In realtà credo che ciò dipenda principalmente dal periodo di tempo di riferimento, che ha “imposto” sostanzialmente determinate tipologie, legate strettamente ai dispositivi di input disponibili all’epoca, dov’era indiscutibilmente il joystick a farla da padrone.
Questo non significa che vi fosse una stagnazione, mancanza di innovazione in questo campo. Tutt’altro.
Gli esempi si sprecano: dal paddle di Breakout e del ben più noto Arkanoid, alla stupenda trackball usata in Crystal Castle e al meraviglioso Marble Madness, fino ad arrivare allo sterzo di Pole Position e in quello più sofisticato di Spy Hunter, alla cloche de Il Ritorno dello Jedi, ecc., non sono certo mancati i capolavori che mi hanno dato gioie e soddisfazioni con controller molto diversi rispetto a quelli a cui ero abituato.
Però il joystick ha dominato incontrastato, anche se in alcune occasioni i limiti intrinseci hanno portato delle leggere evoluzioni o integrazioni.
E’ il caso di Mexico ’86 (Kick’n Run nel resto del mondo), dove alla leva e al bottone era stato aggiunto un comodo pedale per eseguire uno strategico pallonetto per fregare il portiere avversario.
Oppure Xybots, a mio avviso precursore di Wolfenstein, Doom, ecc., che era dotato di uno speciale joystick che permetteva, ruotando la leva in senso orario o antiorario, di ruotare di 90° lo scenario (all’epoca il 3D scarseggiava).
Invece il primo impatto con le console e il famigerato joypad l’ho avuto nell’88 negli Stati Uniti, dove mi trovavo in vacanza, con lo splendido NES di un mio cugino, col quale abbiamo passato tante ore giocando a Metroid, Excitebike, Contra, Punch-Out, e altre vecchie glorie di cui adesso non ricordo il nome.
Non è stato traumatico, ma il feeling non era certo lo stesso del joystick, che a mio avviso garantiva una precisione migliore e una maggior immediatezza nelle risposte, in particolare nelle versioni presenti nei cabinati, anche se il buon Arcade con interfaccia Atari ha dato non poche soddisfazioni ed è sopravvissuto a ben 10 anni, dal Commodore 128 fino all’ultimo Amiga 1200:
Infatti quando acquistai un SuperNintendo nel ’95 fu mia premura procurarmi un joystick versione arcade per questa console, perché non riuscivo a trovarmi a mio agio col joypad in dotazione, e a dare il meglio. Joystick che ho poi riciclato per PC tramite un semplice convertitore da collegare alla porta parallela, che mi ha consentito di continuare l’esperienza coi tanti emulatori di cui ho fatto uso.
L’esperienza con le console mi ha permesso di valutare anche lo sviluppo che hanno avuto i giochi per quanto riguarda l’uso dei controlli. Il SuperNintendo metteva già a disposizione ben 6 tasti, che non erano certamente usati da tutti i software, ma molti andavano ormai oltre i 2 del NES.
Anche il NeoGeo, che in dotazione aveva un joystick arcade, aveva ben 4 pulsanti. E in sala giochi il top è stato rappresentato dal già citato Street Fighter II, che ne integrava ben 6, disposti su due file. La tendenza era ormai segnata, come pure il distacco fra joypad e joystick.
Un joystick, per quanto metta a disposizione la comoda leva, rimane comunque limitato dal numero di bottoni che è possibile integrare, perché diviene oggettivamente difficile decidere quale premere, in un preciso momento e mentre si sta svolgendo l’azione, se la scelta ricade su un numero consistente.
Street Fighter II, anche se ne aveva ben 6 da usare, era comunque semplice da giocare, perché li aveva divisi i due, per pugni e calci, e a loro volta i 3 bottoni erano suddivisi per intensità / potenza del colpo da sferrare. Ma un gioco facente uso di joystick con 6 bottoni per funzionalità completamente diverse è un’altra cosa…
Da questo punto di vista i joypad hanno permesso di andare oltre, perché hanno potuto distribuire i bottoni su entrambe le mani, anziché soltanto su una, a cui si sono aggiunte anche delle leve analogiche.
Negli ultimi 15 anni il giocatore s’è, quindi, trovato di fronte a controlli sempre più sofisticati, con giochi altrettanto complessi, parecchio impegnativi.
Personalmente quando vedo i piloti di formula 1 che pigiano bottoni sul loro “sterzo” (o dovremmo chiamarlo “cloche”?), rivedo i moderni joypad e i giochi che ne fanno uso, e penso che abbiamo davvero superati i limiti riguardo ai controlli.
Sia chiaro che questo rimane il mio punto di vista, e che altri possono contare su un’esperienza completamente diversa. Nulla da dire in merito. Ma permettetemi un esempio concreto per far capire meglio il mio pensiero, che è un po’ più generale e non strettamente legato ai controlli:
Parliamo rispettivamente di Ghosts’n Goblins, del suo successore Ghouls’n Ghosts , e dell’ultimo capitolo (non più arcade, ma soltanto per la PSP) Ultimate Ghosts’n Goblins.
Il successore manteneva intatto il look & feel, ovviamente migliorandolo grazie alle potenzialità dell’hardware e alla possibilità di inserire qualche nuova caratteristica, ma lo stesso non si può dire dell’ultima incarnazione del cavaliere in mutande, che… sembra un gioco nuovo.
Il numero di controlli è aumentato in maniera impressionante, rispetto ai soli 2 bottoni dei precedenti, come pure la complessità del gioco e di ciò che si deve fare per arrivare a completare un livello.
Il passaggio al joypad della PSP fa rimpiangere persino la versione a singolo tasto del Commodore 64, che aveva comunque mantenuto l’idea, il concept, l’immediatezza che hanno caratterizzato questa leggenda della storia dei videogiochi.
Forse i giochi di un tempo erano più “spensierati”, se mi posso permettere questo termine, ed è una cosa che ho in parte ritrovato guardando i miei figli giocare col Wiimote della Wii, oppure col Kinect della XBox 360 del compagnetto di scuola, oppure col touch del tablet o dell’iPhone di qualche amico.
Non è, quindi, soltanto un problema legato ai controlli, che ci può stare certamente (Crystal Castle l’ho provato anche col joystick, ma rispetto alla trackball sfigurava vistosamente). Ciò che noto coi giochi moderni è anche un’eccessiva complicazione dei concept, che minano quella spensieratezza che a mio avviso era la caratteristica principale che dovevano possedere.
D’altra parte chi ricorda come venivano chiamati certi giochi portatili? Scacciapensieri…