Dopo decenni di supporti fisici, la “musica liquida” è divenuta un fenomeno di massa grazie alla compressione mp3, che l’ha resa facilmente trasportabile sulla rete di fine anni ’90 – quando l’ADSL a 640kbit era ancora un lusso per pochi.
Una convenienza moltiplicata ovviamente dalla sostanziale gratuità della musica, resa possibile dal P2P ai danni dell’industria musicale. Sulla qualità sonora di converso era naturale che non si andasse molto per il sottile: a caval donato non si guarda in bocca.
Con l’avvento di massa della distribuzione legale di musica liquida, la qualità non ha ricevuto un grande impulso: se 128kbit e 44khz erano il minimo accettabile già ai tempi di Napster, l’iTunes Store ha venduto musica codificata a 128kbit fino al 2009 (2007 per il catalogo EMI), quando è stato finalmente introdotto il formato DRM-free iTunes Plus a 256kbit.
Con un’ottima fetta della musica acquistata su iTunes dal 2003 in poi ancora codificata a 128kbit, nel 2012 era naturale che qualcuno si ponesse il problema della necessità di un miglioramento degli standard di codifica. Quel qualcuno come saprete è Neil Young, che già qualche settimana fa in una conferenza organizzata da Walt Mossberg, poneva sinteticamente il problema in questi termini:
Steve Jobs è stato un pioniere della musica digitale, la sua eredità è fenomenale. […] Ma quando tornava a casa ascoltava vinili.
Chiunque abbia ascoltato un vinile su un impianto decente può capire di cosa si sta parlando. La questione che rimane aperta è: gli impianti di riproduzione di buona qualità si sono “democratizzati” proporzionalmente alla diffusione della musica liquida? La risposta a mio avviso è no. L’impennata nella domanda di musica liquida è parallela al boom di iPod e consimili, dispositivi che vengono fruiti in contesti che difficilmente giustificherebbero l’uso di tracce non compresse.
Questo non esclude che esista un mercato per musica liquida di alta qualità, primariamente legato ad una fruizione domestica. Un mercato per “audiofili non integralisti”, attualmente non servito dai big della distribuzione digitale.
Questo è il mercato a cui Young punta, ed alcuni brevetti da lui recentemente depositati confermano la sua determinazione in questa direzione. Sarà interessante valutare il modo in cui questo progetto di business andrà ad innestarsi sull’attuale configurazione della distribuzione di musica digitale. Anche e soprattutto in vista della posizione di Young sulla pirateria:
Non mi riguarda (la pirateria) perché guardo alla rete come alla nuova radio. E la radio è finita. […] La pirateria è la nuova radio. È il modo in cui la musica circola di questi tempi. […] Se davvero vuoi ascoltarla, rendiamola disponibile, ma solo al 95%.
Musica codificata in di bassa qualità per tutti, musica ad alta risoluzione per chi paga. Funzionerà?