Riprendiamo quest’oggi le “riflessioni” sull’argomento introdotto la scorsa settimana, ovvero la Ricerca Scientifica.
RICERCA OD APPLICAZIONI – QUESTO E’ IL PROBLEMA
Parafrasando il celebre “essere o non essere” e riagganciandoci alle considerazioni sviluppate sia nel precedente post che nei commenti ad esso seguiti, possiamo provare ad analizzare con maggiore attenzione i vari contesti intorno al quale è possibile applicare il titolo di questo paragrafo.
Diversi esempi presentati nei commenti (tipicamente di aziende del settore elettronico/informatico) evidenziano come spesso sia complesso individuare i confini tra qualcosa strettamente legato alla ricerca rispetto all’applicazione della stessa, od ancora ad un prodotto che non risulta direttamente legato ai risultati della ricerca.
Tali considerazioni trovano il terreno sul quale svilupparsi nella forte evoluzione tecnologica alla quale abbiamo assistito negli ultimi decenni, in particolare nel settore dell’elettronica, settore che ha abituato tutti noi ad una rapida innovazione di prodotto, permettendo ad oggi scenari di impiego e prestazioni in molti casi solo immaginabili in precedenza.
Tale innovazione nei prodotti è stata sicuramente resa possibile dal miglioramento tecnologico, conseguente alle ricerche condotte dalle numerose aziende coinvolte in vari livelli (si pensi alle problematiche affrontate e risolte nei processi produttivi dei microprocessori, dei display, ecc.), ma se spostiamo l’attenzione al prodotto finale è difficile individuare in esso un processo di ricerca differente da quello orientato al miglioramento di fattori strettamente legati al prodotto (ergonomia, miglioramento delle funzionalità, maggiore economicità, ecc.).
Il discorso sembra quindi spostarsi verso un concetto di ricerca finalizzata ad un obiettivo concreto in un prodotto, ma la ricerca, come discusso anche nel precedente post, è anche molto altro, ed inoltre non bisogna dimenticare che molto spesso i “confini della ricerca” appaiono alquanto sfumati, ed esempi concreti a riguardo sono quelli esposti sempre nel precedente post.
RICERCA SCIENTIFICA TRA PUBBLICO E PRIVATO
Se da una parte tutti (spero) sono concordi nel ritenere che l’attività di ricerca scientifica e la conseguente innovazione (o semplicemente le nuove scoperte che da essa si originano) siano fondamentali e capaci di divenire trainanti per un qualunque Sistema Paese, dall’altra parte si parla molto meno di chi la fa, al punto che intorno alla figura del ricercatore (e del suo lavoro) aleggia spesso il mistero.
Poiché la ricerca è fatta di ricercatori, ma anche e necessariamente di finanziamenti, penso sia utile andare a discutere su questo tema: chi deve pagare cosa?
E’ evidente che, per quanto detto poco sopra sugli effetti trainanti della ricerca per il sistema economico-produttivo di una nazione, il finanziamento alla ricerca debba essere parte integrante del bilancio di ogni nazione, e pertanto debba esservi un forte investimento pubblico in essa, ma è altrettanto corretto chiedersi cosa debba venire finanziato ed in quale misura, oltre che definire i criteri che permettono di valutarne i risultati.
Tantissime attività di ricerca si basano in larga misura (in certi casi quasi esclusivamente) proprio su fondi di origine pubblica, ed in genere vengono svolte da istituzioni anch’esse pubbliche quali Università e centri di ricerca pubblici (come il CNR). Potendosi basare su fondi pubblici diventa possibile per i ricercatori indirizzare le attività verso direzioni spesso di frontiera, generando nuova conoscenza e risultati che permettono di generare innovazione, strada spesso non perseguibile in industria in quanto l’obiettivo tipico di questo contesto consiste nel risolvere problemi presenti nell’immediato ed inoltre, finanziandosi sui risultati ottenuti nel proprio mercato, meno disponibile ad investire risorse importanti in direzioni non monetizzabili a breve termine.
Notevoli differenze si possono individuare anche nella tipologia dei ricercatori che tipicamente operano nei due contesti, infatti nell’ambito degli istituti pubblici la formazione del ricercatore è in genere maggiormente generalista rispetto ad un particolare ambito, nell’industria non è rara la presenza di specialisti estremamente orientati su un singolo aspetto.
Tali differenze non sono però una caratteristica negativa, bensì un fattore complementare spesso utilizzato (purtroppo soprattutto all’estero, molto meno in Italia) per rendere più efficiente le attività di ricerca operando in collaborazione pubblico-privato, ed è proprio in questo contesto che si ottiene un sostanziale beneficio per l’economia del paese in quanto le potenzialità innovative del mondo accademico vengono completate dalle capacità di concretezza delle aziende, generando al tempo stesso un aumento della conoscenza ed un miglioramento dei prodotti.
Ovviamente tutto questo discorso è per certi versi “un discorso limite”, volto ad evidenziare gli aspetti più opposti ed in certi casi controversi del mondo della ricerca ed a stimolare la riflessione e la discussione su queto tema così ampio e complesso.
Anche per oggi è tutto, riprenderemo il discorso lunedì prossimo e pertanto vi rinnovo come al solito l’invito a continuare a seguirci, sempre su AppuntiDigitali, sempre con la rubrica Energia e Futuro.