Il 13 Febbraio 2012, alle 10:00 GTM il razzo Vega, il nuovo lanciatore Europeo ha cominciato il suo primo volo, completando la sua prima missione 70 minuti più tardi. Il lancio è stato effettuato dalla base di Kourou, nella Guiana francese, (dal pad di lancio del vecchio Ariane 1) tra la soddisfazione dei dirigenti ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) e dei suoi partner industriali.
I successi sanciti da questo evento sono numerosi. In primis, ricordiamo che attualmente per mandare in orbita i satelliti “mini”, ovvero più leggeri di 2,5 tonnellate, l’Europa fa affidamento ai razzi nucleari russi ICBM, mentre ora ha guadagnato la propria indipendenza, che vuol dire fondamentalmente non dover attendere per mesi e mesi per avere la disponibilità del lancio. I benefici per l’Europa non finiscono qui, poiché questo lanciatore di ultima generazione è sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea e soprattutto dai suoi partner industriali. In questo modo l’ “expertise” sugli aspetti tecnologici e ingegneristici dell’industra spaziale rimangono e si sviluppano nel vecchio continente.
Il direttore del progetto Vega è l’italiano Stefano Bianchi, che ha atteso con grande eccitazione il momento del lancio: infatti, nonostante gli avanzatissimi laboratori di test e i sistemi di monitoraggio computerizzato, il miglior test di verifica per il perfetto funzionamento di un razzo spaziale rimane il primo lancio. Prova che il Vega ha superato con grande successo!
Vega è un razzo innovativo, opera di un’azienda italiana, la Avio. Il motore è il fiore all’occhiello di questo razzo, a cominciare dal materiale in cui è contenuto, una fibra di grafite e resina epoxy. Il motore in se è a quattro stadi: i primi tre stadi bruciano carburante solido e aiutano il razzo a uscire dal campo gravitazionale terrestre. Il quarto stadio, invece, brucia propellente liquido, e può essere interrotto e ripristinato a comando, in modo da poter aggiustare l’orbita del mezzo. Può anche servire a lanciare il razzo nello spazio profondo, una sorta di sistema di emergenza per evitare di lasciare la navetta non funzionante nell’orbita terrestre. Questa funzione sta cominciando ad assimere un’importanza sempre maggiore, con l’aumento della consapevolezza che abbiamo dei residui spaziali lasciati attorno al nostro pianeta.
Ma questo primo lancio non è solo importante per il mezzo con cui è stato fatto: i contenuti sono altrettanto importanti. Ricordiamo infatti che lo scopo di questo nuovo lanciatore è portare nello spazio satelliti di piccole dimensioni. Questi satelliti stanno diventano sempre più importanti, grazie alla miniaturizzazione dei componenti elettronici di cui si fa uso.
Il primo satellite a uscire dalla pancia di Vega è LARES (Laser Relativity Satellite) dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), il cui scopo è quello di misurare nel modo più accurato possibile l’effetto Lense-Thirring, una correzione relativistica alla precessione di un giroscopio se sottoposto a un forte campo gravitazionale (come quello terrestre). Questa misura sarebbe un’ulteriore prova dell’efficacia della Relatività Generale di Einstein nel descrivere la forza gravitazionale. Italiano anche un altro satellite facente parte del payload di Vega, ALMASat-1: un piccolo cubo di 30 cm costruito all’Università di Bologna costruito per testare la tecnologia di miniaturizzazione dei componenti.
Una delle parti più interessati del payload sono 7 piccolissimi satelliti cubici, chiamati appunto, CubeSats. Veramente dei microbi della famiglia dei satelliti, cubetti di appena 10 centimetri di lato e non più pesanti di 1 kg. La particolarità di questi “sette nani” è che sono stati interamente progettati da studenti universitari europei, che oggi vedono la propria opera in orbita e alla presa dati. Tra essi vi sono i primi satelliti progettati e costruiti in Ungheria, Romania e Polonia. Queste nazioni non sono però da sole: più di 250 università in 6 diverse nazioni hanno partecipato alla progettazione e costruzioni dei sette cubetti che hanno raggiunto l’orbita terrestre ieri.
Xatcobeo è un satellite spagnolo, dell’Università di Vigo e INTA, il cui scopo è di dimostrare l’efficacia di un software per il dislocamento di pannelli radio e solari. A fargli compagnia, il francese Robusta, dell’Università di Montpellier 2, per lo studio degli effetti di basse dosi di radiazioni su transistor bipolari. Il politecnico di Torino ha contribuito con e-st@r, una prova di controllo di un sistema complesso a 3 assi. L’Università di Bucharest ha invece proposto Goliat, un sistema fotografico per la cattura di immagini della superficie terrestre e, in contemporanea, della misura di radiazione e flusso di micrometeore. Masat-1 è invece l’opera degli studenti dell’Università di Budapest, che hanno creato il loro satellite per apprendere vari aspetti dell’avionica di una navetta spaziale. L’Università di Varsavia ha costruito PW-Sat, un satellite con un sistema di aumentare la resistenza fluidodinamica del sistema e modificarne l’orbita. Infine, l’Italia partecipa anche con un altro satellite, UniCubeSat-GG, dell’Univesità di Roma La Sapienza, che studia gli effetti dell’eccentricità dell’orbita sul moto del satellite considerando anche il gradiente di gravità.
Insomma, tra lanciatore e contenuti l’Italia di attesta come protagonista della conquista spaziale Europea! Speriamo che continui questo trend di grandi soddisfazioni per l’industria spaziale italiana!