Col passare del tempo tutti noi abbiamo avuto di stupirci di quanto si rimpicciolissero le dimensioni dei supporti di memoria.
Lo stesso Isaac Asimov ha ammesso che tra tutte le sue straordinarie visioni del futuro, una si è dimostrata sbagliata: mentre nella sua mente i computer del futuro sarebbero stati giganteschi, occupando intere stanze, la realtà è invece completamente diversa.
I computer, e con essi i supporti di memoria, sono diventati sempre più piccoli. Ma il gruppo di ricerca che ha pubblicato l’articolo comparso questa settimana sulla rivista Science detiene decisamente il record. Infatti sono riusciti a incastrare un bit di memoria in niente di più che 12 atomi! La squadra, composta da scienziati dell’IBM e dell’istituto di ricerca tedesco CFEL (Center for Free-Electron Laser Science) concentrano un byte di memoria (8 bit) in 96 atomi. È veramente un risultato incredibile se pensiamo che in un moderno hard drive ha bisogno di più di mezzo miliardo di atomi per byte.
Per ottenere questo risultato gli scienziato hanno lavorato al centro di ricerca della IMB a San Jose, in California. Tramite un microscopio a effetto tunnel, i ricercatori hanno pazientemente allineatogli atomi di ferro, uno a uno, in fila per sei (senza resto di uno). Due file corrispondono a un bit, mentre otto file sono un byte e corrispondono a una superficie di 4 per 16 nanometri, riducendo di centinaia di volte la superficie necessaria per lo storage, in confronto agli attuali hard disc.
Il trucco, in tutto questo, sta nel fatto che le due file di atomi possono essere magnetizzate e possono assumere due stati di magnetizzazione, corrispondenti ai classici 0 e 1, e tramite il microscopio a effetto tunnel è possibile inviare un leggero impulso elettrico che fa cambiare lo stato da 0 a 1 o viceversa. Tramite lo stesso strumento è anche possibile leggere lo stato del sistema, per accedere ai dati. Il piccolo problema, al momento, è che il sistema ha bisogno di una temperatura bassissima, ed attualmente stabile solo a 268 gradi sottozero, ovvero a 5 gradi Kelvin. I ricercatori però sono ottimisti, infatti un blocco di 200 atomi riesce ad essere già stabile a temperatura ambiente, per cui l’obiettivo di creare supporti di memoria a livello atomico non è molto lontano.
Il principio fisico utilizzato per realizzare questo obiettivo è l’antiferromagnetismo, da non confondersi con il ferromagnetismo. Ricorderete dagli studi scolastici che un materiale si dice ferromagnetico quando i suoi atomi hanno un momento magnetico (una direzione preferenziale, legata allo spin degli elettroni che li compongono) e questi momenti magnetici sono sempre allineati tra loro. Nei materiali antiferromagnetici le direzioni dei momenti magnetici sono allineati in direzioni oppose, uno a uno, cosicché il materiale risulta neutro localmente. Questa proprietà però si vede solo a temperture bassissime. A temperature più alte della temperatura di Néel (che varia da materiale a materiale) gli atomi dei materiali antiferromagnetici diventano disordinate e il materiale diventa “paramegnetico”.
L’idea presentata nell’articolo (e spiegata per esempio qui o qui) è secondo me particolarmente geniale perché per ridurre la dimensione dei sistemi di immagazzinamento dati, non hanno cercato di miniaturizzare gli elementi esistenti. Al contrario, sono partiti dagli elementi più piccoli, gli atomi, per studiarne le proprierà e cercare di usarli al fine dell’immagazzinamento dati. Insomma, se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna! (o era il contrario?)