Il tema della separazione del sistema operativo dall’hardware (unbundling) ha avuto un picco di attenzione qualche settimana fa per la relazione di un gruppo di studiosi europei.
Per introdurre il problema, nella scorsa puntata ho analizzato alcuni dei fattori che hanno contribuito alla smisurata crescita della quota di Microsoft sul mercato del sistemi operativi. Ho anche cercato, usando Vista come esempio, di spiegare che oggi il difficile non è capire quanto venda un OS di Microsoft, ma piuttosto come e se sia possibile evitarlo quando si acquista un nuovo computer.
Ho quindi concluso che la proposta di separare il sistema operativo dall’hardware mina alle radici il modello di business che ha fatto la fortuna di Microsoft negli ultimi 30 anni e pone questioni complesse.
La parte del problema che mi accingo ad affrontare è per l’appunto ampia, intricata e assolutamente impermeabile a chiavi di lettura banali. Mi limiterò quindi a lanciare qualche spunto, lasciando al lettore la possibilità di trarre le sue conclusioni.
L’impatto negativo delle posizioni dominanti, particolarmente in un mercato veloce e innovativo come quello software, non ha bisogno di spiegazioni: la “diagnosi” del Globalisation Institute, autore della relazione, è in questo senso piuttosto scontata. La proposta di vendere per legge i computer senza alcun sistema operativo presta però il fianco ad alcune obiezioni:
– quanto è diffusa oggi fra gli utenti la competenza per scegliere fra vari OS?
– come conseguenza degli ultimi decenni, attorno a Windows è fiorito il più ampio ecosistema di software consumer che l’informatica abbia mai conosciuto: quale OS alternativo fornisce un parco software altrettanto maturo e sviluppato?
– chi coprirà i costi che gli OEM dovranno affrontare per certificare il proprio hardware sui nuovi OS?
– ma soprattutto, basta rendere obbligatorio l’unbundling per riequilibrare il mercato dei sistemi operativi a vantaggio degli OS alternativi?
Prima di prendere delle contromisure contro la posizione dominante di un gigante come Microsoft, bisogna ricordare che si opera nel libero mercato e si ha a che vedere con un’azienda dalle risorse impressionanti: all’indomani dell’unbundling, il colosso di Redmond avrebbe comunque una potenza di fuoco sovrastante da schierare contro i produttori di OS alternativi. Cambierebbero per prime le strategie di marketing: da (relativamente) pochi, imponenti accordi con gli OEM, si arriverebbe a molti piccoli accordi con la distribuzione. Nessuno potrebbe poi vietare agli OEM di accettare ricche fette del budget marketing di MS per “suggerire” Windows piuttosto che i prodotti concorrenti. Tutto questo comporterebbe forse un innalzamento dei costi sostenuti da Microsoft per arrivare al mercato, il che però produrrebbe, con tutta probabilità, un incremento dei prezzi al pubblico, invece delle riduzioni promesse. Il fronte della battaglia si sposterebbe dai rapporti fra Microsoft ed OEM al punto vendita, ma ancor più vedrebbe schierati tanti piccoli Davide contro un Golia dalle tasche senza fondo.
Forti dubbi sulla relazione derivano poi da un’affermazione piuttosto sconcertante: l’autore liquida il Mac come un “costoso prodotto di nicchia, tipo Bang&Olufsen, difficile da giustificare nel mondo business al di fuori delle arti grafiche” e “incapace di porre una seria minaccia a Windows”, con ciò volendo significare che per una “caccola” come Apple si potrebbe anche fare un’eccezione all’unbundling.
Polemica a parte, mi permetto di essere molto scettico sulla possibilità che con una norma si possa sbloccare “al volo” il mercato dei sistemi operativi. Innanzitutto perché lo scenario che oggi osserviamo è frutto di lunghi decenni, in cui peraltro non sono mancate alle istituzioni, non solo europee, ottime occasioni per prendere contromisure. Poi perché l’idea di sviluppare una policy finalizzata a diminuire la quota di mercato di Microsoft, potrebbe non rappresentare la premessa migliore per dare al settore un assetto sostenibile.
Volendo ipotizzare delle soluzioni, proporrei qualcosa di più “strutturale”. Per esempio, piuttosto che forzare l’unbundling tout-court, l’Europa potrebbe assumere un ruolo centrale nell’accelerare, con adeguati stanziamenti, la maturazione del software libero in ambito desktop e business; invece che imporre la scelta ad un’utenza spesso impreparata a scegliere, potrebbe, questo sì, abolire da domani la cosiddetta “Windows Tax”, a vantaggio di quelli che già oggi vogliono scegliere. Sarebbero questi piccoli passi, ma indicherebbero una volontà precisa e forte, senza però forzare un’improvvisa trasformazione del mercato dagli esiti imprevedibili.
Quanto detto non pretende comunque di esaurire un problema così vasto e complesso. D’altro canto, se due paginette di analisi prevedibili e soluzioni spicciole bastano per ottenere l’attenzione dei media di tutto il mondo, c’è speranza anche per noi.