Qualche giorno fa, a proposito di Linux, si parlava della sostenibilità dell’open source in ambito consumer. Affrontando la questione da un taglio più politico, facevamo riferimento all’azienda promotrice di Ubuntu, Canonical, le cui economie sono del tutto trascurabili, e di converso ad Android, che venendo meno ad ad alcuni principi fondamentali di Linux ha capitalizzato un’importante diffusione sul mercato – quanta ricchezza porti nelle casse di Google è più difficile capirlo.
Oggi ci ritroviamo a parlare di economia e open source in riferimento a Firefox, il browser alternativo divenuto popolare durante il lungo iato fra la versione 6 e la 7 dell’incumbent, Internet Explorer. Come riporta BusinessInsider, le economie che ruotano attorno a Mozilla sono molto esigue e perlopiù legate ad un accordo con Google.
Questo accordo prevede che la casella di ricerca in alto a destra usi come default il motore di ricerca di Mountain View. Una sorta di product placement, che tuttavia somiglia più ad un’opera di volontariato da parte di Google, che non deve certo a Mozilla la propria fortuna. Non almeno quanto Mozilla la deve a Google: come avrete letto, il citato accordo con vale una cifra che rappresenta dall’84 all’86% dell’economia di Mozilla.
Questa decisione ancora una volta ci porta a confrontare la nozione originaria dell’open source con quella più pragmatica, ma di maggior successo, di Google. La strategia di fondo presenta interessanti analogie con quella di Android: Chromium – basato sul motore di rendering open source Webkit – è la base di codice su cui poggia Chrome. Chromium è un progetto open source non commerciale con licenza d’uso permissiva mentre Chrome include una serie di funzionalità fornite da Google ed è rilasciato con una licenza restrittiva.
Anche se le economie che Google trae da Chrome (così come da Android) non sono ben isolabili , è certo che il browser rappresenti un prodotto strategico rispetto all’esecuzione del core business.
Firefox è invece un browser open source, rilasciato con licenza molto permissiva, che come abbiamo detto vive perlopiù di economie esogene. Se nel momento in cui Chrome guadagna quote di mercato – anche a danno di FF – Google non ha più bisogno di averlo alleato, gli utenti potrebbero abbandonarlo altrettanto facilmente. Ancor più dal momento in cui economie molto più ristrette rallentassero i cicli di sviluppo, consegnando il browser che porta l’eredità del mitico Netscape, ad un sistematico ritardo rispetto alla concorrenza.
Quali vie d’uscita si presentano per Firefox a questo punto? Un accordo con Bing salverebbe capra e cavoli, e rappresenterebbe anche per il motore di ricerca di Redmond un’importante opportunità. In assenza di questo la strada si metterebbe molto in salita per Mozilla, che comunque rimarrebbe terzo in una gara che Microsoft da IE9 in poi è tornata a correre con tutte le energie di cui dispone.
In effetti, dopo le epiche scalate della metà dello scorso decennio, Firefox non è più lo sfidante per eccellenza del perfido incumbent, il campione di una causa per la libertà del Web che col senno di poi non manca di una certa vena romantica. Essendo per di più intrinsecamente slegato da logiche commerciali, dunque incapace di generare per esempio partnership per il bundling con gli OEM, rischia – in un momento in cui i grossi calibri dell’ICT entrano in campo – di finire come il manzoniano “vaso di coccio tra vasi di ferro”. Un destino da cui anche l’auspicato accordo con Bing, temo non potrà salvarlo che per qualche anno: il tempo che servirà perché la concorrenza, più agguerrita che mai, riduca la sua quota di mercato a un solo decimale.
Aggiornamento: l’accordo con Google è stato rinnovato