Dopo 7 anni di Ubuntu, lo sforzo finora più visibile e concreto che Linux abbia prodotto, la quota di mercato del pinguino è in piena stagnazione, continuando ad orbitare attorno al punto percentuale.
Quel che è peggio, in un mercato sempre più orientato al mobile, Linux è ancora ben lontano dal raggiungere smartphone e tablet – gli oggetti attorno ai quali si osservano le più forti crescite negli ultimi anni – con l’eccezione del progetto Openmoko, che tuttavia non mi pare abbia generato volumi di vendita degni di nota.
La ragione principale di questo ritardo è la forte integrazione hardware e software che caratterizza attualmente il mercato: anche in assenza di legami diretti (MS+Nokia, Google+Motorola), i produttori hardware lavorano a stretto contatto con Google e Microsoft per integrare al meglio il proprio hardware con i rispettivi OS. Ad incentivarli non è la mera preferenza un OS o l’altro – tanto meno questioni ideologiche – ma la credibilità del partner e forza con cui può sostenere la piattaforma in termini di evoluzione, ottimizzazione, marketing.
Gli sforzi – anche economici – che un colosso come Microsoft ha sostenuto negli ultimi anni in cambio di quelli che fino ad oggi appaiono ben magri risultati, danno un’idea dell’altezza delle barriere all’ingresso del mercato OS mobile.
Se Ubuntu rappresenta allo stato attuale il più credibile tentativo di portare Linux sui tablet e smartphone, il quadro non è roseo: in primis che supporto hardware può attendersi? In un mercato strutturato attorno all’integrazione HW-SW, in cui il dispositivo è ormai l’ultimo anello di un ecosistema software ampio e stratificato, quale OEM adotterà Ubuntu? A fronte di quali vantaggi rispetto a quanto già offerto dalla concorrenza? Se già nel mondo PC ha raccolto pochissimo, con quali risorse l’OS del pinguino potrà (nel 2014, la data stimata per il “debutto”) mai pensare di rubare quote di mercato ad Android?
Lo stesso giornalista di PCWorld che proclamò il 2008 – dopo la debacle di Vista e il boom dei netbook – l’anno di Linux, si è trovato un paio d’anni dopo a dichiarare finito il sogno di Linux sul desktop. La transizione verso smartphone e tablet sarà dunque, con tutta probabilità, l’ultimo chiodo sulla bara di un OS che troppo tardi ha risolto il problema della frammentazione e messo la facilità d’uso in cima alle proprie priorità. E che, malgrado l’impegno di Canonical e lo sforzo di migliaia di sviluppatori, non è riuscito a creare un’economia significativa da cui attingere per accelerare i cicli di sviluppo e alimentare la domanda.
ADDENDUM: È stato scritto un follow-up a questo pezzo che lo integra e ne chiarisce la ratio: Da Linux ad Android, cosa si perde e cosa si guadagna