Avrete sicuramente sentito, negli ultimi giorni, del lavoro pubblicato recentemente sulla rivista Science, in cui i ricercatori Betsy Sparrow, J Liu e D. M. Wegner hanno raccontato come Google, e internet in generale, abbia modificato i processi della nostra memoria, facendo si che ci ricordiamo di meno di quanto facessimo prima dell’avvento dei motori di ricerca.
Questa notizia è volata in giro per la rete come ben pochi altri articoli su Science fanno. La sensazione è che è stata accolta con un misto tra scetticismo e paura, sentendosi un po’ in colpa della nostra dipendenza dalla rete. Questa è stata solo la mia personale sensazione ovviamente, ma vorrei dire la mia a riguardo, perché penso che, in realtà, non solo non ci sia niente di cui sentirsi in colpa, ma anzi, si possa parlare proprio di una sorta di evoluzione del pensiero.
Veniamo all’articolo in sé. L’esperimento in questione si è svolto in una serie di fasi successive. Il primo esperimento è consistito nel prendere 46 studenti universitari e dividerli in due gruppi. Il primo gruppo doveva rispondere a una seri di domande molto molto semplici (tipo, “3+2”), mentre all’altro gruppo sono state chieste domande molto più difficili, che necessitavano di fare una ricerca online per conoscerne la risposta (Per esempio, “Ha più chilometri quadrati la Danimarca o la Costa Rica). Dopodiché i due gruppi sono stati riuniti e sono state mostrate loro una serie di parole scritte in colori diversi.
A quel punto dovevano solo rispondere se le parole erano rosse o blu. La cosa sorprendente è stata che il gruppo a cui erano state sottoposte le domande più difficili si sono dimostrati più lenti nel rispondere. Inoltre la parola per cui ci è voluto più tempo a rispondere è stata proprio la parola “Google”. La spiegazione, secondo Sparrow, è che chi aveva le domande più difficili ha pensato di “googolare” la risposta, prima di darla direttamente. Questo primo esperimento ha quindi dimostrato che noi, prima di pensare alla risposta, pensiamo a come cercare la risposta.
Il secondo esperimento è consistito nel dividere di nuovo i due gruppi e nel dettargli delle frasi (del tipo “l’occhio di un ostrica è più grande del suo cervello”) e chiedergli di scriverle su un file nel computer. A uno dei due gruppi è stato detto che il file sarebbe stato subito cancellato, mentre all’altro gruppo è stato detto che il file veniva archiviato nel disco del computer. Il risultato è stato (come è facile immaginare) che il gruppo che temeva la sparizione del file ha dimostrato di ricordarsi molto meglio (il 40% in più) le frasi scritte in precedenza.
Questo risultato, che è quello che ha fatto parlare maggiormente di se, è secondo me abbastanza banale. È una cosa logica che, quando si sa che un concetto o una nozione è salvato da qualche parte, ci si sforza meno di ricordarlo. Io, per esempio, mi ricordo ancora a memoria il numero di telefono (probabilmente ormai fuori uso) dei miei compagni di classe del liceo, ma non so il mio personale numero di cellulare attuale (è anche vero che lo cambio in continuazione). Uno a questo punto potrebbe spaventarsi, pensando che allora il nostro cervello sia “vuoto”, visto che possiamo trovare sostanzialmente ogni informazione sul web.
Le successive fasi, però, ci vengono in aiuto.
Gli studenti universitari, questa volta, dovevano di nuovo scrivere delle frasi sul computer, ma dovevano anche salvarle in una cartella specifica (una tra cinque cartelle a scelta). Il gruppo che credeva che i files venissero cancellati ha dimostrato di nuovo di avere maggior memoria dei contenuti, però, c’è stata una sorpresa. Quando è stato chiesto di dire in quale cartella sono stati salvati i files si è notato che, sebbene il gruppo che ha salvato i files non se ne ricordasse il contenuto, si ricordava molto bene dove erano stati salvati.
Questo vuol dire che non abbiamo proprio perso la memoria, ma la abbiamo modificata. Questo tipo di memoria viene detto “memoria transitiva”, ovvero non ci ricordiamo il concetto vero e proprio, ma ci ricordiamo come fare ad ottenerlo.
Nel mio piccolo, avevo notato questo tipo di predisposizione su me stessa. Non mi ricordo molto i valori specifici o spesso mi dimentico dei concetti relativi alle mie ricerche. Ci metto però pochi secondi a trovare quello che cerco su google o, ancora meglio, su google scholar. Ho anche notato che faccio molto prima a trovare concetti riguardanti un argomento che conosco (per esempio i neutrini :-) ) rispetto ad argomenti con cui ho meno dimestichezza. Questo perché le parole chiave che uso sono molto più azzeccate e meglio mirate, quindi la ricerca è più efficace e veloce. Non credo ci sia quindi grossa ragione di disperarsi, il nostro modo di pensare è diverso dal passato, e lo sarà sempre di più, ma non credo che questo voglia dire sia peggiore.
Probabilmente anche nelle scuole dovrenno prima o poi adeguarsi a questa differenza, e sostituire parte del classico nozionismo con un metodo di insegnamento più dinamico… Voi cosa ne pensate?