La classica “one more thing” di Steve Jobs nel keynote di ieri ha segnato a mio avviso una tappa fondamentale nella complessa relazione fra major musicali e tecnologia.
L’azienda di Cupertino ha infatti fatto leva sulla credibilità acquisita in otto anni di iTunes Store per convincere le major ad un’operazione che le riconcilia con il mercato e con il pubblico: una “sanatoria” sull’intera libreria musicale.
iTunes Match – questo il nome dell’iniziativa – offre all’utente la possibilità di ri-scaricare tutti i brani della propria libreria in formato AAC non protetto (come se li si acquistasse in versione DRM-Free da iTunes) e di fruirne su 10 dispositivi contemporaneamente tramite la sincronizzazione di iCloud per una somma forfettaria di $ 25 all’anno.
Si tratta della prima offerta sviluppata attorno ad una presa d’atto fondamentale – d’altronde chiara da lustri: malgrado forti crescite della distribuzione legale online, solo una piccola parte della musica circolante sulla rete viene regolarmente acquistata. In altri termini, le librerie da decine di gigabyte messe in piedi in anni di file sharing selvaggio, hanno rappresentato per anni un asset non monetizzabile per le major.
Da oggi su quelle librerie le major percepiranno un compenso ragionevole, non certo pari al prezzo d’acquisto di ogni singola traccia, ma sempre meglio degli spiccioli che sono riuscite a ricavare nei tribunali USA, a spese di enormi danni d’immagine. Anche perché, è bene ricordarlo, l’equivalenza fra download illegale e mancato acquisto rimane indimostrabile anche dal più coraggioso fra gli azzeccagarbugli.
Ma qual è il valore che gli utenti acquistano col canone annuale? Cosa possono fare di nuovo che non potevano fare fino a ieri? In effetti la principale leva del servizio iTunes Match consiste nell’impossibilità di utilizzare la propria musica esistente per la sincronizzazione iCloud. Volendo essere maligni, è da questo limite che nasce la soluzione offerta da iTunes Match.
Da un altro punto di vista, oltre alla “sanatoria” – Match rappresenta in questo senso la prima via legale offerta ai campioni di eMule e BitTorrent – il servizio abilita funzionalità che richiedono un uso intensivo di banda ed Apple non è azienda da cui attendersi regali. D’altronde il costo è in assoluto irrisorio a fronte dei vantaggi promessi – sperando che la qualità finale del servizio non ne faccia un altro fiasco in stile MobileMe.
I più critici non mancheranno di notare che in questo modo si mette la propria intera libreria sotto il controllo di Apple e delle major con cui Apple ha firmato contratti, il che è indubitabilmente vero. D’altronde non scopriamo oggi che le comodità dei servizi cloud arrivano a spese di alcuni compromessi.
Restano da chiarire alcuni dettagli: se si aggiunge musica non acquistata da iTMS alla libreria dopo la “sanatoria” cosa succede? Al di fuori degli Stati Uniti, quando avverrà il lancio? E quale sarà il valore legale dell’adesione a Match? C’è da sperare che questi dettagli siano chiariti una volta per tutte. Diversamente Match potrebbe somigliare al sogno erotico dei nostri fulgidi e competentissimi legislatori.