Bentornati sulle pagine della seconda puntata di questa serie di articoli dedicati alla disquisizione sui temi, e sulle persone, fondanti della fisica moderna. Per chi non avesse letto il primo articolo e quindi non fosse a conoscenza del “manifesto” di questa serie, ne raccomando la lettura reindirizzandovi qui, ricordando l’intento estremamente divulgativo e mirato a solleticarvi la voglia di approfondire e/o studiare in autonomia, per acquisire tutte le conoscenze necessarie ad avere un quadro completo della materia.
Oggi cominceremo a parlare della teoria delle stringhe attraverso uno dei più bravi ed importanti divulgatori che abbia avuto occasione di leggere: Brian Greene. Professore della Columbia University fin dal 1996, Greene è uno dei più solidi sostenitori di quella teoria che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, ha avuto un successo esponenziale soprattutto grazie a quell’obiettivo che pare essere in grado di raggiungere, ossia la possibilità di riunire sotto un’unica “voce” una spiegazione matematicamente precisa di tutto ciò che fa parte di questo universo.
Attualmente impegnato nello studio e nello sviluppo di questa teoria, non disdegna anche delle apparizioni in tv nei vari talk show serali americani, dove oltre a pubblicizzare i suoi splendidi libri, cerca sempre di trasmettere la sua passione per la matematica e la fisica. Sono note anche delle collaborazioni nella stesura di varie sceneggiature di alcuni recenti film di fantascienza, ma è certamente nella scrittura che il Professore eccelle su tutti, sia per la facilità con cui tratta argomenti di una difficoltà estrema sia per l’ardore che ogni pagina trasmette, soprattutto a chi, come me, si avvicina alla fisica in autonomia senza passare da alcun corso di laurea e senza un background matematico adeguato alla complessità delle equazioni in gioco.
Il suo autentico capolavoro è senza dubbio “L’Universo Elegante”, scritto sul finire degli anni ’90, che rappresenta un viaggio attraverso tutta la fisica del ‘900, dalla Relatività di Einstein alla Meccanica Quantistica fino ad arrivare appunto alla teoria delle stringhe. Un libro consigliatissimo anche a chi non mastica fisica quotidianamente, contiene tutte le nozioni di base che possono aprire gli occhi verso questa materia ed invogliare a proseguire oltre, verso tematiche sempre più difficili. Ho avuto modo di apprezzare molto anche “La Trama del Cosmo”, un libro per certi versi simile al precedente ma forse un po’ più completo e complesso, che evolve nel linguaggio e nella profondità degli argomenti fornendo un quadro più completo di ciò che potrebbe essere il nostro universo e quali siano le leggi che lo regolano nel profondo, sia sulla base delle conoscenze attuali che sulla base delle teorie più nuove e speculative.
Scrivere e divulgare delle stringhe in maniera esaustiva e nello spazio concesso dallo strumento “blog” è pura utopia, in quanto la complessità ed i risvolti di ogni anfratto della teoria sono così vasti che non a caso si scrivono interi libri sulla materia e, non ultimo, si tratta di qualcosa ancora in evoluzione e di certo ancora distante dall’obiettivo di essere insignita del prestigioso “marchio” TOE (Theory of Everything). Cercheremo quindi di affrontare per sommi capi la teoria, cercando di capire per prima cosa da quale esigenza è nata e perché il suo successo è letteralmente esploso fin dai primi istanti di vita (pur trovando lungo la sua strada numerosi ostacoli e periodi di “morta”), ma soprattutto spero possiate apprezzare l’elegante quanto semplice principio di fondo che la rende concettualmente facile da comprendere.
Non posso fare altro che spiegarvi la teoria come io l’ho capita e digerita, principalmente per mezzo dei libri del magnifico autore oggetto di questo articolo. Certamente vi farà piacere sapere che l’impulso iniziale che ha dato il via alla teoria delle stringhe fu di un fisico italiano, tale Gabriele Veneziano, il quale nel 1968 durante i suoi studi, focalizzati sull’ interazione forte tra le particelle elementari, scoprì quasi per caso che una funzione matematica nata quasi 200 anni prima per tutt’altri scopi, la funzione Beta di Eulero, poteva essere usata per descrivere il comportamento di una serie di particelle elementari quali ad esempio i quark oggetti del suo studio (ricordo che l’interazione forte è una delle 4 forze fondamentali, che nello specifico si manifesta per tenere “uniti” i protoni ed i neutroni nel nucleo ed ancora i quark, attraverso la particella mediatrice Gluone, per formare singolarmente proprio neutroni e protoni).
Al di là della particolare coincidenza (non è strano che una funzione nata per lo studio di curve geometriche abbia la precisione di spiegare le interazioni tra particelle?), l’intuizione più importante fu la seguente: se tutte le particelle elementari anziché essere considerate puntiformi avessero un’estensione dimensionale nello spazio, allora attraverso la funzione beta molte interazioni sarebbero spiegabili con molto facilità e precisione.
Ricordo che quando venni a conoscenza di questa ipotesi, ero comodamente sotto l’ombrellone di una spiaggia in costa azzurra, e mentre mia moglie faceva allegramente il bagno nelle cristalline acque francesi, io ebbi un sussulto quasi un’illuminazione fulminante: fino a quel momento infatti, avevo letto e studiato solo del Modello Standard e delle comuni interazioni tra particelle puntiformi, e mai avrei sognato che potesse esistere qualcosa che fosse in netto contrasto con l’assunto delle particelle prive di struttura ed estensione.
In cuor mio ho sempre faticato, forse a ragione, ad accettare i concetti di “infinito”, sia piccolo che grande, in un qualcosa di concreto: è accettabile matematicamente, ma l’idea che la materia sia composta da particelle senza alcuna estensione nello spazio mi ha sempre silenziosamente turbato. Chi ha un po’ di familiarità con la fisica, sa benissimo che fin dall’inizio si impara che la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica sono le due teorie fondanti del ‘900 e che rappresentano il meglio che abbiamo a disposizione per spiegare l’infinitamente “Grande” e l’infinitamente “Piccolo”.
Sappiamo bene anche che, una delle missioni di molti fisici del secolo scorso, è stata quella di trovare un punto di contatto tra le due teorie (la sfuggente gravità quantistica) che di fatto risultano estremamente incompatibili tra loro: fintanto che entrambe restano nel loro ambito di utilizzo va tutto bene, ma se cerchiamo di inserire, ad esempio, le leggi di gravitazione di Einstein alle particelle elementari o, viceversa, le interazioni quantomeccaniche ai corpi di grandi dimensioni, quello che otteniamo è una serie di risultati inconsistenti ed incoerenti, segno di come l’intero modello non sia adatto a spiegare coerentemente e con precisione il nostro universo, ma che vi sia piuttosto la necessità di trovare una teoria in grado di mettere fine a questa grande “guerra”.
Dal mio punto di vista, se mi posso permettere, usare particelle puntiformi è molto pratico a livello matematico, ma purtroppo quando si scende a studiare dei fenomeni a scale estremamente piccole (alla lunghezza di Planck, cioè intono ai 10^-33 metri, che è considerata la più piccola fisicamente concepibile) le cose si complicano parecchio, anche perché di fatto matematicamente si può andare avanti all’infinito, mentre nella pratica, principalmente a causa delle violente fluttuazioni quantistiche che si verificano a quel livello, le cose si complicano parecchio e l’inserimento della gravità fa andare completamente fuori controllo le equazioni del modello standard. Se più di mezzo secolo di studi e le migliori menti non hanno ancora trovato una soddisfacente teoria per la gravità quantistica un motivo ci sarà, e questa ragione potrebbe essere proprio scritta nelle fondamenta della teoria delle stringhe.
Qual è quindi questa mirabile nozione in grado di cambiare radicalmente il mondo di pensare la fisica della particelle? Sono certo che l’abbiate già intuito, anche perché in parte lo abbiamo già accennato: le particelle elementari, e come conseguenza tutta la materia e l’energia che costituiscono l’universo, sono composte nella loro struttura ultima da stringhe, ossia da filamenti provvisti di un’estensione spaziale ben definita (che rientra nell’ordine di grandezza della scala di Planck). Esiste quindi un limite fisico invalicabile, oltre quale può andare solo la matematica ma non la realtà delle cose, perché tutta la materia e l’energia sono un collage di stringhe che conferiscono a tutte le particelle un’esistenza ed una consistenza fisica reale.
Questo fatto da solo permette di eliminare sul nascere tutti i problemi legati alle particelle puntiformi, e ci permette di dare risposte alle insolute domande sul cosa succede a scale così piccole: banalizzando un po’, possiamo dire che al di sotto della scala di Planck non succede nulla di interessante (o meglio, nulla che abbia interesse diretto con le interazioni tra le particelle elementari) semplicemente perché al di sotto di quella soglia non esiste alcunché, ed anche se le violente fluttuazioni quantistiche continuassero ad esistere non potrebbero avere effetti sulla dinamica delle particelle. La teoria delle stringhe non risponde ai quesiti insoluti della Fisica con una risposta puntuale, ma propone un ribaltamento di prospettiva che non dà ragione di esistere a quei quesiti stessi! Non pensate anche voi che sia semplicemente fantastico?
Ma che cosa sono veramente le stringhe? E come fanno a “formare” tutte le particelle elementari che di cui siamo a conoscenza? Dobbiamo infatti stare attenti a non commettere l’errore di credere che questa teoria voglia sostituire il Modello Standard, che anzi rimane vivo e vegeto con tutte le particelle e le loro proprietà che fanno parte del suo corredo, anche perché in ogni caso è un modello estremamente preciso ed adatto a coprire un vasto range di situazioni, guadagnato con molti anni di studi e ricerche dei più importanti fisici al mondo. Le stringhe sono niente altro che dei filamenti, che possono avere da due a più dimensioni (approfondiremo meglio nella prossima puntate le n-brane, ossia le stringhe multidimensionali) dotate di un’estensione estremamente ridotta, per intenderci circa miliardi di miliardi di volte più piccoli di un nucleo atomico, ma dotate di una tensione incredibile: ogni stringa può essere sottoposta 10^39 tonnellate!
Le forme possono essere varie, così come ne esistono di aperte e di chiuse, ma la loro vera peculiarità è che, grazie alla loro tensione ed alla enorme energia che accumulano, vibrano come le corde di un violino. Ogni stringa, come conseguenza della sua forma e della tensione, vibra in una maniera diversa dalle altre, producendo quello che è assimilabile alla nota emessa da una corda di un qualsiasi strumento musicale, proprio in relazione alla tensione. La differenza è che le stringhe vibrando non producono musica, ma danno vita alle particelle elementari descritte dal Modello Standard: ogni singola proprietà di ogni singola particella, come ad esempio la massa, la carica elettrica, lo spin e tutto il resto è il risultato di un preciso modo di vibrazione delle stringhe di cui essa è composta. Le stringhe interagiscono tra di loro dando vita a nuove stringhe con modi di vibrazioni differenti, che a sua volta si riflettono in particelle che macroscopicamente (dal punto di vista delle stringhe!) risultano differenti per svariate proprietà, ma che nella sostanza sono fatte dello stesso componente primario.
Uno dei vantaggi principali di questa nuova concezione risiede nel fatto che, a differenza del Modello Standard dove molte particelle esistono con determinate proprietà solamente perché, o grazie alle osservazioni sperimentali o per la necessità di far quadrare i calcoli, devono essere così senza un’apparente spiegazione (ad esempio, perché l’elettrone ha proprio quella massa? E perché il fotone ha proprio spin pari a 1? Tutte domande alla quale la teoria convenzionale non dà risposte, ma si limita ad inserirvi determinati valori perché necessari).
Nella teoria delle stringhe invece, tutto salta fuori in maniera naturale come conseguenza della teoria stessa: è dimostrato dai calcoli, che esistono modi di vibrazione che danno vita a particelle con massa e proprietà varie, uguali a quelle note (famoso è l’esempio del gravitone, che con il suo spin pari a 2 è stata tra le prime particelle per le quali fu trovato un modo di vibrazione compatibile, ed essendo tra l’altro la particella mediatrice della gravità, le speranze di trovare una teoria quantistica della gravitazione proprio grazie alle stringhe fu presa sempre in maggior considerazione) e non perché sia necessario per far tornare i risultati delle equazioni, ma semplicemente perché risultano naturalmente integrate nella teoria, e non esistono più numeri “magici” ma solamente valori ben definiti per le principali proprietà delle principali particelle note.
La teoria delle stringhe ci propone quindi una visione da un punto di vista differente, grazie al quale molti dei problemi che prima ci parevano insormontabili, ora ci appaiono o come di facile soluzione o come problemi che non hanno ragion d’essere. Pensiamo ad esempio al Big Bang: uno dei problemi che i fisici hanno da sempre avuto, è stato quello di capire che cosa è successo andando sempre più indietro nel tempo, perché di fatto si tratta di “lavorare” con un universo sempre più caldo e sempre più piccolo, fino al raggiungimento della singolarità in cui l’intero cosmo è racchiuso in un’ “entità” puntiforme senza dimensioni e con una temperatura potenzialmente infinita.
Come abbiamo già capito, queste situazioni creano non pochi grattacapi quando gli si applicano le equazioni della relatività e della quantistica, in quanto a livello pratico gli “infiniti” non sono mai un buon risultato, ma le stringhe ci vengono in soccorso con un’evidenza quasi disarmante per la sua immediatezza: non c’è nessuna singolarità, in quanto per piccolo che possa essere stato l’universo alla sua nascita, sicuramente avrà avuto una dimensione spaziale ben definita e non inferiore alla scala di Planck, così come una temperatura probabilmente “finita”. E lo stesso discorso vale anche per i buchi neri, le cui singolarità sono un da sempre un grosso cruccio per la fisica teorica. Dopo questa breve infarinatura, sono certo che vi siano ben chiari i motivi per i quali molti fisici ripongano moltissime speranze in questa teoria, e soprattutto perché è la miglior candidata ad essere la teoria del tutto.
Ma la storia delle stringhe non è sempre stata così in discesa, e nella prossima puntata vedremo proprio come questa si è evoluta negli anni, da semplice intuizione fino ad arrivare alla M-Teoria ed alla seconda rivoluzione delle superstringhe. Parleremo inoltre di un altro punto cruciale ed estremamente interessante, e cioè quello delle dimensioni extra (precisamente 11) e dei “particolari” spazi di Calabi Yau, di cui è composto il nostro universo. Parleremo delle brane e del perché abbiamo l’impressione di vivere “solo” in 3 dimensioni, ed ancora di come gli esperimenti del mitico CERN siano così importanti per trovare prove sperimentali a questa teoria. Il contributo di Greene alla teoria delle stringhe non si ferma solo alla sua divulgazione, ma sono bene noti numerosi suoi studi sui fondamentali spazi di Calabi Yau e sulle possibilità di trasformazione da uno spazio all’altro, nonché sulle ricerche riguardanti gli strappi della trama dello spaziotempo.
Una prova certa e sperimentale della veridicità delle stringhe ancora non esiste, e molte speranze sono riposte nell’acceleratore di particelle costruito al CERN, dove sono già in corso esperimenti dai quali risultati si potrà certamente ricavare qualcosa di utile. Al momento purtroppo, i risultati del primo anno di collisioni non sono stati generosi con la teoria, in quanto i primi tentativi sono falliti (vedi la creazione di mini buchi neri o l’osservazione della supersimmetria), ma essendo le stringhe così piccole da non poter mai essere osservate direttamente (almeno non con le energia che abbiamo a disposizione oggi, domani chi lo sa), la loro ricerca indiretta è sicuramente irta di molti ostacoli, difficoltà ed errori di osservazione o di calcolo, benché in ogni caso io rimanga fiducioso e speranzoso che qualche traccia prima o poi possa davvero saltare all’occhio dei fisici.
Questa puntata si conclude qui, spero di aver solleticato il vostro palato e la vostra bocca affamata di conoscenza, e sono certo che nei prossimi articoli troverete risposte a questioni ancora più interessanti, per cui il mio invito è di non perdere di vista queste pagine, e di scrivere cosa ne pensate di una teoria così interessante che ha avuto il coraggio di vedere due secoli di Fisica da un punto di vista semplicemente differente, stravolgendola nella sostanza più intima.