È di poche ore fa la notizia – commentata qui da The Daily Beast e qui da Techcrunch – secondo cui Facebook avrebbe commissionato alla celebre azienda PR Burson-Marsteller una campagna volta a generare allarme attorno alla privacy dei servizi di Google.
Nella fattispecie USA Today – la testata che per prima ha intercettato e coperto la questione – racconta che un popolare blogger sarebbe stato contattato da un uomo di Burson che gli avrebbe offerto un pezzo fatto e finito sui pericoli per la privacy posti dal servizio Social Circle di Google da pubblicare a suo nome, ventilandogli contestualmente la possibilità di finire su testate come Washington Post e Huffington Post.
Invece che copiare&incollare la notizia e godersi il proverbiale quarto d’ora di gloria il blogger, tale Charles Soghoian, ne ha opzionati almeno tre: ha pubblicato lo scambio di mail con Burson, il che ha consentito secondo USA Today di verificare la sostanziale infondatezza delle accuse formulate.
In effetti il servizio “social circle”, parte della Social Search di Google, oggetto della disputa, nelle parole di USA Today:
privately sends each Gmail user the names of “secondary connections,” a listing of the people each direct connection happens to be following publicly on the Web.
In altre parole il motore fa data mining anche sul secondo livello di connessioni, partendo da dati pubblicamente disponibili sui social network. Niente nuovo dunque (più di un anno fa ci domandavamo se Gmail non esponesse dati sensibili dei nostri contatti), posto che l’utente deve dare esplicito consenso alla connessione dell’account Gmail con altri account social quali Facebook, Twitter etc.
Chi mi legge nella rubrica semisegreta “il tarlo” conosce la mia posizione circa social network e privacy e sa benissimo che ritengo per definizione giusto diffidare da società che hanno nella propria ragione sociale la profilazione degli utenti quando non l’abolizione della privacy – nozione lanciata proprio da Zuckerberg.
Proprio per questo mi fa un po’ sorridere questa diatriba, fra due soggetti animati fondamentalmente dagli stessi interessi, perseguiti solo con metodi diversi, e in particolare mi diverte Facebook che tenta con questi mezzucci di indossare le vesti di paladino della privacy.
È certo che, così come di colpi bassi del genere se ne sono già visti (vedasi serie di schermaglie sull’accesso di Google ai dati di Facebook), molti di più se ne vedranno, almeno fino a quando FB e Google continueranno a competere per lo stesso “trofeo”, i nostri dati personali, avendo come unico limite una legislazione sempre meno al passo coi tempi e, in casi sempre più sporadici, un po’ di buon senso.