Se dovessi scegliere una canzone da dedicare a Apple, sarebbe “Bella senz’anima” di Riccardo Cocciante, per la facilità e la freddezza nello scaricare i microprocessori che non ritiene più utili alla sua causa (il mero profitto). Ovviamente dopo averli spremuti per bene, specialmente in ambito marketing, esaltandone le incredibili capacità… fino al giorno prima dell’abbandono.
Mi riferisco in particolare a quelli montati nei famosi Macintosh, che hanno visto fasi o ere segnate dall’impiego di precise famiglie di processori che hanno contribuito al “marchio di fabbrica”, quell’elemento di “biodiversità” che poneva i loro utenti in un mondo a sé, specialmente sul versante prestazionale (aspetto questo molto enfatizzato nelle pubblicità).
Il Motorola 68000 è stato il primo, glorioso, rappresentante, che ha segnato un netto distacco rispetto alle CPU utilizzate in altri computer, PC in primis. Grazie al successo che ha riscosso, è stato impiegato in tanti sistemi, fra i quali appunto i Mac, dando vita a una serie fra le più apprezzate.
Fatta eccezione per il 68010, praticamente tutti i modelli sono stati impiegati da Apple per le sue macchine, con l’assenza dell’ultimo rappresentante, il 68060, grande escluso anche da Commodore coi suoi Amiga, a causa del cambio di rotta già deciso.
Infatti il 1994, anno di introduzione del 68060, segna anche il passaggio di Apple ai PowerPC, grazie alla costituzione del relativo consorzio con IBM e Motorola, nel 1991. Già da qualche anno Motorola aveva avuto difficoltà a tenere il passo di Intel (in termini prestazionali assoluti), montati negli acerrimi rivali PC. Inoltre il suo RISC, l’88000, non aveva avuto il successo sperato.
Tutto ciò bastò per tagliare i ponti con quei processori e saltare sul nuovo, vincente, carro. In effetti il momento era buono, perché questa nuova famiglia (in realtà derivata dal progetto POWER di IBM per i suoi server) prometteva molto bene, e fin dai primi modelli arrivati sul mercato offrirono prestazioni elevate.
Parecchie sono state le macchine Apple basate sui PowerPC, in particolare i famosi G3 e G4 rimasti nell’immaginario collettivo dei loro utenti, ma gli x86, dati per spacciati innumerevoli volte per mano dei RISC, col tempo sono riusciti a migliorare notevolmente anche sul piano prestazionale.
La svolta per gli x86 fu rappresentata dal modello RISC86 introdotto da NexGen (poi acquisita da AMD), che ha posto le basi per la scalata alla velocità di quest’architettura, mettendo in seria difficoltà i PowerPC verso la fine degli anni ’90, con gli Athlon (K7) di AMD e i Pentium III di Intel divenuti solida testa di ponte.
Gli effetti si fecero vedere qualche anno più tardi, quando Apple diede il benservito a Motorola, ormai non più in grado di innovare e reggere il confronto con gli odiati nemici. Nel 2003 passa a IBM, che le offre un PowerPC 970 ovviamente ribattezzato G5 per l’occasione, per sottolineare la continuità col passato e al contempo la grande evoluzione.
Sebbene le prestazioni dei primi modelli non fossero adeguate (ma sempre ben mascherate dalla martellante campagna pubblicitaria della casa di Cupertino), le prospettive erano notevoli: si parlava di raggiungere e superare i 3Ghz nel giro di poco tempo, riportando ai fasti i Mac.
Apple scopre di colpo che i Mhz… contano, eccome, quando si ha a che fare con le prestazioni, nonostante per anni e anni avesse basato il suo marketing sul concetto diametralmente opposto. Con la coerenza, però, non si porta il pane a casa, e il voltafaccia è più che giustificato.
In ogni caso anche IBM incontra problemi nel far scalare il suo G5, e in appena due anni Jobs defenestra anche lei, saltando sul carro dell’acerrimo nemico di sempre, Intel, e dei suoi odiati (sempre fino al giorno prima) microprocessori “fino a 4 volte più veloci dei vecchi modelli“.
Jobs dichiara che OS X è sempre stato mantenuto dietro le quinte anche per x86, proprio nel caso in cui il matrimonio coi PowerPC fosse naufragato. Il classico piano B, insomma, ma Steve non dice tutta la verità, che viene fuori poco dopo da un’intervista al CEO di Freescale (ex Motorola).
Apple era pronta a passare a Intel già cinque anni prima, ma lui, all’epoca manager di IBM, riuscì a convincerla a rimanere coi PowerPC promettendogli il G5, che arrivò qualche anno dopo. Quindi parliamo del 2000 (all’incirca): un anno prima che arrivasse OS X!
Non è difficile ipotizzare, quindi, che questo s.o. avrebbe potuto veder la luce soltanto per gli x86, lasciando i PowerPC a far compagnia ai 68000 per il solo vecchio e malandato MacOS…
La storia dei tradimenti non sembra, comunque, destinata a finire, con l’approdo ai dominatori del mercato. E’ recente la notizia che Apple starebbe pensando di passare agli ARM per i suoi portatili entro il 2012, anno in cui arriveranno i primi modelli a 64 bit di questa famiglia.
Si tratta di voci, è bene evidenziarlo, ma personalmente le trovo molto realistiche. Apple, infatti, ha acquisito due aziende in passato, Intrinsity e PA-Semi, con le quali è ormai in grado di progettare microprocessori dotati anche di una forte customizzazione e con un particolare occhio di riguardo ai consumi.
I consumi sono fondamentali quando parliamo di piattaforme portatili, ma l’attesa dei 64 bit suona alquanto strana quando la casa di Cupertino è in grado già adesso di utilizzare proprie soluzioni ARM (a 32 bit). I 64 bit andrebbero bene più che altro per l’ambito server (o per applicazioni grafiche “pesanti”), dove indirizzare in scioltezza più di 4GB di memoria fisica è estremamente importante.
L’unica spiegazione plausibile è che Apple voglia evitare di ingrossare ulteriormente gli eseguibili (fat binary o universal binary) di OS X, con versioni di codice che sarebbero a 32 bit adesso e anche a 64 bit poi, senza contare le altrettante versioni per gli x86 (mentre per i PowerPC non ci sarebbe più speranza).
Gli stessi problemi si presenterebbero coi driver, che dovrebbero supportare diverse architetture, e chiaramente il testing del codice a sua volta aumenta. Insomma, troppo lavoro sia per Apple che per i suoi sviluppatori.
La fonte originale suppone che la stessa sorte potrebbe toccare ai desktop. Anche questo è plausibile, ma sui desktop è più importante la variabile “prestazioni”, al momento saldamente in mano a Intel e credo che lo rimarrà ancora per parecchio tempo, dato l’enorme know-how accumulato e la capacità di x86 di eseguire istruzioni più complesse degli ARM (anche se il discorso meriterebbe d’essere approfondito).
Vista la storia passata, non credo che Jobs abbia voglia di rimanere ancora una volta indietro su questo piano ma, considerata la forza del marchio della sua azienda, è un lusso che potrebbe permettersi.
A scombinare i piani, però, potrebbe essere sempre la stessa Intel, che con l’introduzione dei transistor 3D otterrà un considerevole vantaggio tecnologico su tutti i concorrenti, ARM inclusa, sia per i consumi che per le prestazioni.
E allora un tradimento e un netto abbandono della casa di Santa Clara risulterebbe veramente difficile da consumare, per lo meno non in tempi così brevi…