Saranno le musiche così tremendamente coinvolgenti, sarà lo stile inconfondibile di Roger Dean per le illustrazioni, il livello di difficoltà impressionante o la grafica da far strabuzzare gli occhi… o forse sarà tutto questo insieme. Sta di fatto che Shadow of the Beast ha rappresentato una pietra miliare per il mondo dei videogame, la cui gloria tutt’ora risplende nei ricordi di tanti ex videogiocatori ormai ultratrentenni.
Uscito nel 1989 in versione Amiga, il primo, storico, episodio di SOTB mette il giocatore al comando di Aarbron, un eroe dalle sembianze umanoidi (con un che di caprino tuttavia), che corre attraverso una serie di livelli in cerca della libertà dallo stato bestiale in cui è ridotto.
L’avventura, in tipico stile platform anni ’80, si svolge attraverso una intricata serie di scenari, popolati da creature dall’aspetto non solo pericoloso: perfino inquietante. In questo mondo, il nostro eroe si muove armato prevalentemente di buona volontà: la maggior parte dei nemici viene infatti eliminata a suon di cartonazzi e calci volanti, il che aggiunge difficoltà notevoli alla già non semplice mappa.
Le ambientazioni, la cui decorazione richiama da vicino le creature, le forme e i paesaggi incantati di Roger Dean, nella versione Amiga acquisiscono una straordinaria profondità, grazie a un numero di livelli di scrolling parallattico che in alcune aree arriva a dodici!
La spettacolare ricercatezza del comparto video – una sfida per chi sostiene che i videogiochi non siano classificabili come arte – è accompagnata perfettamente dalla colonna sonoda di David Whittaker, che corrobora quella ineffabile sensazione di angoscia che già gli scenari e le creature ispirano nel giocatore. Angoscia peraltro ben motivata: finire Shadow of the Beast è un’impresa per pochi, e anche accostarvisi con il trainer rischia di condurre a sonore batoste.
Le versioni successive di SOTB proseguono con un personaggio sempre più libero dalla schiavitù bestiale e sempre meglio equipaggiato, e continuano a contraddistinguersi per un livello di difficoltà improponibile e una grafica che fa pieno sfoggio delle potenzialità dell’Amiga.
Numerosi sono i porting della serie, che vanno dall’Atari Lynx al PC Engine della NEC fino allo Spectrum o all’ottima conversione per il pur limitato C64. Le due macchine in grado di eseguire il gioco in tutto il suo splendore – se si esclude il potente ma poco diffuso FM Towns – sono comunque l’Amiga e l’Atari ST, il primo significativamente meglio del secondo.
A quasi vent’anni di distanza dalla prima versione, rimane ancora impressionante il lavoro dei due poco più che ventenni ragazzi della Reflections. Alla mitica Psygnosis l’onore di aver distribuito anche questo capolavoro dell’arte videoludica. Un’arte che, anche nei tempi dell’ormai raggiunto fotorealismo, raramente evoca emozioni durature.
Anzi, forse è proprio la possibilità di raggiungere agevolmente livelli di realismo assoluto, a togliere spazio a quell’inventiva, quel linguaggio simbolico, che qualche anno fa era indispensabile per colmare la distanza fra realtà e simulazione.
I fanatici della serie non dovrebbero farsi sfuggire questo sito dedicato e questa ottima recensione.