Un anno e mezzo fa, su queste pagine, criticavo la troppo facile analogia fra Android e Windows, secondo la quale l’OS mobile di Google si avvierebbe a marginalizzare iPhone e tutte le altre piattaforme “chiuse” in ambito smartphone.
A mio avviso – malgrado le similitudini – il parallelo non era del tutto appropriato per alcune semplici considerazioni che brevemente riassumo:
- il concetto di OS mobile “aperto” non nasce con Android ma con Symbian; se l’integrazione HW/SW di iPhone ha guadagnato quote proprio ai danni dell’aperto Symbian, non è automatico che Android inverta la tendenza;
- per chi usa il terminale e per chi ci sviluppa software, un parco terminali Android frammentato fra dotazioni hardware diversissime, rischia di compromettere la user experience;
- anche il modello “app store”, leitmotiv del mondo mobile da alcuni anni a questa parte, su dispositivi eterogenei rischia di produrre un’esperienza non uniforme delle applicazioni.
Il pezzo si concludeva quindi con questa frase:
Dal momento che, per fare concorrenza a iPhone, bisogna offrire facilità d’uso e compatibilità col parco applicazioni, il successo di Android non può non essere legato al controllo che Google riuscirà a mantenere sull’hardware.
A un anno e mezzo di distanza, dopo i recenti dati di Comscore che vedono Android in fortissima crescita negli USA, la questione è ancora aperta e merita una ripresa.
Vale la pena di ricordare che a dicembre 2009 il primo Nexus era ancora di là da venire. Oggi, memori dell’epopea del Nexus One e col Nexus S da poco in vendita, intuiamo meglio il ruolo dei terminali brandizzati Google: non tanto fare concorrenza ai partner, quanto fissare un “reference design”, mettere una bandierina sullo stato dell’arte, invitando implicitamente i produttori che mirano alla fascia alta ad adeguarsi.
Nel mentre tuttavia anche i prezzi dell’entry level sono crollati: a 100 € oggi si porta a casa un terminale Android con GPS, WiFi, fotocamera etc., il che avvantaggia anche se non elimina, il problema dell’uniformità dell’hardware Android sollevato nella precedente analisi. Rimane in effetti una forte variabilità in ambito display, CPU, GPU e nella qualità dei singoli componenti hardware integrati.
L’ampliamento della base utenti Android, a cui certo contribuisce la disponibilità di terminali a basso costo, impone a chi sviluppa applicazioni un dilemma: adattarsi ai terminali di fascia bassa a costo di sottoutilizzare l’hardware dei più accessoriati, o viceversa sfruttare al massimo l’hardware escludendo una cospicua fetta del proprio mercato potenziale? Quello della frammentazione rimane dunque un problema, per gli utenti e anche per gli sviluppatori, come mostra una recente indagine di Wired.
Sempre a proposito di frammentazione, mentre Google sconta le conseguenze della mancanza di controllo sulle applicazioni inserite nell’Android Market, Amazon vara il proprio Android app store, con applicazioni selezionate e la promessa di un livello qualitativo minimo garantito – nel frattempo la startup BloomWorlds si prepara a lanciare un app store “family friendly” con contenuti adatti al pubblico più giovane.
Peraltro molti vedono nel futuro di Amazon un dispositivo Android personalizzato con accesso predefinito ai marketplace di Amazon, fra cui l’app store, in altre parole un “walled garden” piantato nel bel mezzo dell’ecosistema “aperto” Android.
Il frenetico ritmo di crescita di Android, (particolarmente negli USA) basta dunque a decretarne lo status di Windows del mondo mobile? Ma soprattutto, legittima a pensare che le piattaforme integrate verticalmente – innanzitutto iPhone ma anche WebOS, in parte MS+Nokia, Blackberry – seguiranno la sorte del Mac, dell’Amiga e di tutto quanto negli anni ’80 e ’90 non fosse IBM compatibile?
La risposta va divisa in due parti: la prima riguardante il rapporto fra hardware e sistema operativo, la seconda sul rapporto fra OS e applicazioni.
Relativamente al primo aspetto, quando la potenza di calcolo e la durata della batteria non saranno più risorse scarse per eccellenza, quando insomma anche gli smartphone da 100 € avranno CPU quad core a consumo pari a zero, accelerazione grafica, display hi res e tutti i frizzi e lazzi immaginabili, il dilemma di cui sopra sarà risolto: si potranno sviluppare applicazioni di alta qualità, sapendo di poter raggiungere un pubblico vastissimo. La domanda è: quanto manca al raggiungimento di questo rapporto ottimale fra consumo energetico e potenza di calcolo?
Circa il rapporto fra OS e applicazioni, il maggior vantaggio di Android – la sua “apertura” – ne giustifica sì una forte crescita, ma al prezzo di una serie di problemi che ad oggi non mi sembrano prossimi ad una soluzione, non ultimo quello relativo alla diffusione di malware. E se pure fosse l’approccio “curato” di Amazon a decretarne la soluzione, non sarebbero certo le virtù della piattaforma “aperta” a trionfare.
A fronte di questi dubbi mi pare che la questione Android 2011=DOS/Windows 1980-90 vada a dirimersi da sé come piuttosto infondata. Anche in vista di un dettaglio non proprio secondario: Microsoft è diventata il colosso che conosciamo impilando lauti guadagni per ogni copia venduta in bundle dai partner OEM. Le economie di Android mi paiono al contrario molto più indirette e, soprattutto, ancora tutte da dimostrare.