Da anni una domanda assilla politici, appassionati e analisti della rete. Quale percentuale del traffico è generato dalle reti di file sharing? La questione è primaria perché, come nota Wired, potremmo ritrovarci a discutere di net neutrality senza nemmeno sapere di cosa esattamente stiamo parlando.
Un report del 2007 citato da Wired, sostiene che il traffico http abbia superato quello P2P grazie a piattaforme di streaming come Youtube. Secondo questa stessa analisi, il traffico HTTP arriverebbe al 46% del totale, mentre quello generato dal P2P si fermerebbe a un comunque rispettabile 37%.
In passato abbiamo assistito ad analisi contrastanti sul fenomeno P2P, che secondo alcuni sarebbe stato in espansione, secondo altri in contrazione. In realtà, posto che non esiste un sistema di monitoraggio globale, vanno tenute in conto anche le crescenti difficoltà di individuazione del traffico P2P, che sempre più spesso viaggia crittografato e/o su porte casuali.
Da osservatore di lungo corso del fenomeno P2P, mi trovo ormai da anni a leggere delle discussioni sulla net neutrality con un certo stupore. In particolare, coloro che la attaccano, dimenticano convenientemente che lo stesso traffico generato dal P2P sia una fonte di guadagno per i carrier.
Sono infatti rare le discussioni pubbliche in cui ci si chieda quanto il P2P sia servito e serva tuttora da volano per la diffusione del broadband. Fatta salva l’utenza professionale, chi altri paga per i costi di banda se non gli utenti finali? E se gli utenti finali mostrano di volere il P2P – il 37% del traffico rappresenterebbe in questo senso un buon indizio – cosa si rischia a contrastarli?
Youtube et similia sono certamente validi motori per sostenere la richiesta di banda. Ma, specialmente in tempi in cui Bittorrent va accreditandosi come strumento di trasmissione anche per contenuti a pagamento – Robert Cringely sostiene da tempo che lo streaming video HD sia possibile solo via torrent – quanti ISP sarebbero pronti da domani ad azzerare il P2P?