Dopo il lancio della nuova incarnazione di iPad, che segue di poco il lancio di prodotti basati su Android 3.0 e precede (chissà ancora di quanto) quello dell’interessante Playbook di RIM, ma soprattutto dopo la constatazione dei numeri enormi che girano attorno a questi dispositivi (il solo iPad pare abbia venduto in 9 mesi 15 milioni di unità), è inevitabile la tentazione di tornare ad affrontare quella che dal giorno 1 è forse la questione più ardua: cosa sono e a cosa servono i tablet?
A poco più di un anno dall’annuncio del primo tablet e delle prime impressioni pubblicate su questo sito, alcuni trend si sono chiariti circa l’utilizzo del dispositivo e, soprattutto, una marea di produttori si è tuffata nel settore interpretando il tablet in modi alternativi.
Hanno visto la luce prodotti x86 con OS desktop come Windows 7 e si sono aperti scenari straordinariamente diversificati con l’annuncio del supporto per l’architettura ARM da parte degli OS flagship di Microsoft.
Proprio il colosso di Redmond rimane ancorato alla distinzione “filosofica” fra dispositivi adatti alla produzione di contenuti e dispositivi adatti alla sola fruizione di contenuti. Una distinzione che non ha mancato di tentare il sottoscritto, ma anche la stessa Apple – che forse non immaginava neppure la rosa di impieghi a cui il tablet si sarebbe adattato nei primi mesi di vita – e Jobs, che durante l’annuncio del primo iPad precisò che Apple aveva cercato con quel prodotto di andare oltre l’e-reader.
Dopo un anno di tablet questa distinzione mi pare vada sfumando: rimane assolutamente vero il fatto che, ad oggi, non esistono sostituti alla combinazione tastiera + mouse/trackpad per operazioni come l’elaborazione di fogli elettronici di qualche complessità, fotoritocco e qualunque altra funzione che richieda un input più preciso di quanto la miglior tecnologia touch sarà mai in grado di offrire.
Se il tablet va a collocarsi in una fascia di dispositivi definita proprio ieri come “post-pc”, questo non implica che, particolarmente allo stato attuale della tecnologia, si prefigga di sostituirli.
Ci sono tuttavia degli scenari d’uso comune in cui la mancanza della tastiera fisica e di un dispositivo di puntamento accurato sono ampiamente compensati dalla praticità del formato, anche nella cosiddetta “produzione di contenuti”.
Dal giornalista che prende appunti in conferenza stampa fino alla classica “mamma” informatica il cui obiettivo è la massima semplicità d’uso, fino all’utente domestico da divano quando non da letto, per applicazioni quali chat ed email, teleconferenza, word processing, editing di blog etc., il tablet, con tutte le peculiarità del suo input, potrebbe rimpiazzare ed in parte sta rimpiazzando computer semplici ed economici (si veda in proposito il crollo dei netbook).
Questo non significa che tablet e netbook rappresentino oggetti del tutto equivalenti: la conclusione che si può trarre da questo mutamento di scenario è piuttosto che, per l’uso che la maggior parte delle persone (forse non fra i lettori di HWUpgrade) prevede di fare quando acquista netbook, il tablet non pare affatto penalizzante.
Aggiungiamo anche che:
- nel primo anno di vita si è osservata la nascita di nuovi modelli d’uso costruiti attorno al dispositivo e alle sue peculiarità (dalla domotica all’uso in ufficio e in ambito medico);
- come e forse più del netbook, il tablet ha una vocazione da “secondo dispositivo” (un iPad senza iTunes va poco lontano) e un appeal che si estende oltre la sfera degli utenti abituali/appassionati di computer.
Che si concepisca il tablet a la Apple o piuttosto a la Microsoft, il dispositivo rimane fortemente ancorato al cloud, ed è proprio questo aspetto – la disponibilità, riservatezza, sicurezza del cloud – a rappresentare il lato oscuro della medaglia. Nella misura in cui questa nuova categoria di dispositivi accelera la transizione verso la “nuvola”, il dubbio che l’adozione di questi servizi stia crescendo più velocemente della loro affidabilità si aggrava.
Fra gli effetti a medio termine di questa transizione c’è anche una progressiva “app-izzazione” dei programmi, laddove l’app rappresenta una versione spesso semplificata, più facile da usare ma anche meno flessibile e “smanettabile” dei pacchetti software che abbiamo conosciuto finora.
Certo, la pirateria è messa all’angolo e per la prima volta nella storia dell’informatica anche i prezzi al pubblico ne risentono positivamente, ma questo non basta per dimenticare gli effetti collaterali.
Concludo questa breve analisi confessando che, malgrado il forte interesse personale e professionale che nutro per il tablet e le innovazioni che ha introdotto, mentre lo vedo trionfare sugli scaffali mi sento in qualche modo “rassicurato” dal mio caro vecchio notebook. Per il futuro, chi vivrà vedrà.