Non c’è azienda occidentale con produzione in paesi con costi del lavoro rasoterra – e proporzionali garanzie per la dignità del lavoratore – che non ponga la responsabilità sociale in posizione di grande visibilità sulle proprie brochure.
Nel contempo non c’è azienda che faccia il possibile e l’impossibile per abbattere i costi di produzione, anche quando si tratti di delocalizzare in paesi che molto poco concedono ai lavoratori in quanto a paghe e diritti.
La capacità di un’azienda di fare margini elevati (semplicisticamente prezzo di vendita-costo di produzione) partecipa del valore di quell’azienda e della remunerazione che essa è in grado di offrire ai suoi investitori; dunque va preservata sopra ogni cosa.
La globalizzazione decuplica la velocità di questo sistema, imponendo livelli di competitività disumani quando non attivamente frenando l’espansione dei diritti e l’incremento dei salari (si veda in proposito questo contributo de Linkiesta) presso i paesi votati alla produzione industriale.
Con un ulteriore lavoro di astrazione si intuisce che alle scarse tutele dei lavoratori di alcuni paesi dell’estremo oriente, partecipi attivamente la cd. domanda, più precisamente la nostra fame di gadget a basso prezzo.
Simili considerazioni – incoraggiate dal primio suicidio in Foxconn del 2011 – ci devono condurre a una domanda fondamentale: saremmo disposti a preferire un’azienda che offra ai suoi lavoratori lo stesso livello di garanzie e diritti che i clienti danno per scontati? Quale sovrapprezzo saremmo pronti a pagare in cambio di questa certezza?