La promessa ahimè non è stata mantenuta ma almeno la sistemazione milanese circa-meno-quasi-su-per-giù è compiuta e quindi posso ragionevolmente pensare una certa continuità futura.
Giappone, l’argomento che ha tenuto banco in veste quasi esclusiva nella Valigia del Videogamer.
Abbiamo rubato spazio ai tradizionali topic come console e videogiochi ma la vostra risposta sia nei numeri sia nella partecipazione è stato grande motivo di soddisfazione e quindi torniamo a parlarne, cercando di riprendere il filo rosso che ci ha condotti sin qui.
Riassunto brevissimo delle puntate precedenti.
L’estate 2010 ha visto il coronamento di un sogno personale che spero possiate vivere anche voi quanto prima: visitare il Sol Levante ed in particolare la sua capitale, forse la massima espressione della sintesi di tradizione e tecnologia orientali.
Nella prima puntata ci siamo soffermati sui “consigli per gli acquisti”, qualche istruzione per l’uso per chi dovesse intraprendere questo viaggio. Da parte mia mi sono trovato in una posizione favorevole perché avevo il fratello Cicerone che svolgeva il ruolo di interprete, accompagnatore, guida e quant’altro.
Ma anche andare all’avventura da soli senza conoscere la lingua non è impossibile. Bisogna però pianificare bene prima di partire.
La seconda puntata si è incentrata in particolar modo sull’arrivo vero e proprio. L’aereoporto, l’impatto iniziale con una metropoli del genere, i primi pasti a base di cibo locale, in generale sempre molto positivi anche come rapporto qualità/prezzo, il tutto documentato con l’aiuto di qualche immagine abbastanza esaustive.
La terza puntata è stato l’inizio del racconto nel dettaglio citando gli aspetti che hanno maggiormente catturato la mia attenzione, le particolarità e differenze macroscopiche rispetto al nostro modo di vivere la quotidianità: l’omino che pulisce le strade, l’ordine e la metodicità anche del muoversi che hanno i giapponesi, la città sempre illuminata ecc ecc.
Per comodità il primo tassello ha visto protagonista Shinjuku, la macroarea dove avevo prenotato l’alloggio e dove quindi ho mosso i miei primi passi da turista.
E da qui riprendiamo.
Non solo è uno dei quartieri geograficamente più grandi e abitati di Tokyo ma è anche uno dei più attivi. Meta dei turisti, sede di alcune dei negozi e grandi magazzini più famosi .
Una menzione va fatta a Muji e qui non solo mi ricollego a Milano ma anche ad una curiosa constatazione di come siano strani i trend a seconda del Paese in cui ci si trovi.
Il primo giorno di lavoro nella capitale meneghina sapevo che sarei dovuto andare in Via Torino. Non avendo però frequentato granché la città in passato non avevo molta familiarità né con i negozi né con la strutturazione vera e propria del circondario.
Camminando quasi attaccato agli uffici dell’azienda che cosa mi ritrovo? Muji. Per chi non lo sapesse, questo è un marchio abbastanza famoso in Giappone. In Italia hanno aperto negozi principalmente di oggettistica per la casa ma nello store dove siamo entrati, a Tokyo intendo, potete trovare di tutto.
Il piano sottoterra (se la memoria non mi inganna) è dedicato quasi esclusivamente al cibo ed è ENORME.
Potete trovare dalla cucina internazionale, alla pasticceria francese (molto apprezzata dai nipponici) alle specialità tradizionali locali.
Una caratteristica di questi agglomerati è però l’attenzione ai particolari. La cura nel design, non mi stancherò mai di ripeterlo, è ormai parte fondante della cultura moderna giapponese.
Lo è sempre stato forse se ripensiamo alla storia, ai monumenti, alle case stesse (sempre minimali ma ordinate, funzionali), dagli anni ’60 ancora di più.
Non è un caso se anche i professionisti italiani ad esempio nel campo dell’abbigliamento fanno dei corsi di formazione ed aggiornamento proprio a Tokyo, così come non è altrettanto un caso se le maggiori esibizione di arte contemporanea si tengono proprio lì. Ed un assaggio di quel che potreste trovare è stato ampiamente documentato nella nostra avventura per cui se siete appassionati o semplicemente incuriositi non temete: ci torneremo.
Uno dei dettagli di cui parlavo poc’anzi. Questa diapositiva ritrae il bar di Muji dove potete sia pranzare sia fermarvi a bere un drink in compagnia. La pavimentazione e buona parte del locale è tutta progettata in legno, fate caso ad esempio alla colonna in mezzo alla stanza ed in generale all’arredamento.
Grande attenzione nell’uso dei materiali non solo sotto il profilo estetico ma anche come impatto ambientale. Riprendendo il discorso affrontato nella terza parte in merito ai rifiuti e l’assenza dei cestini per strada i giapponesi mostrano un grande rispetto per l’ambiente.
Uno degli aspetti che mi ha più colpito della città è quella di immergere il cittadino in una dimensione naturale (con i parchi, la vegetazione, la cura nel mantenere il verde) pur essendo all’interno di una città di che ospita milioni di persone tra residenti e pendolari.
E la cosa bella è che né le nuove costruzioni né i vecchi templi o giardini sembrano corpi estranei buttati lì per abbellire o coprire mancanze, bensì si integrano perfettamente gli uni con gli altri.
Avremo modo di riaffrontare anche questo aspetto menzionando il quartiere di Asakusa ed il tour a Meiji-Jingu, con relativi palazzo imperiale e parco Yoyogi.
Altro dettaglio. Guardate i lampadari. Tutti di vetro, risaltano la lucentezza del locale. Belli no?
Guardate meglio.
Vedete con cosa sono fatti?
Qualche centinaio di banalissimi bicchieri. Funzionale, originale ma al tempo stesso esteticamente molto semplice. Ecco io vado pazzo per questo genere di interpretazioni.
Dal mio modestissimo punto di vista siamo un po’ troppo ancorati alla visione classica e, peggio classicista dell’arte. La riprova è che nonostante gli italiani siano tra i designer più apprezzati al mondo (ma questo in senso generale perché uno dei nostri punti di forza è la creatività), come movimento e come apprezzamento manca una visione d’insieme.
Ogni tanto qualche mostra qua e là (tipicamente a Milano) ma prendiamo ad esempio la carta stampata.
In Giappone, non sto scherzando, per qualsiasi prodotto che abbia dignità estetica, esiste una rivista dedicata. E non sono di nicchia, vengono stampate e lette a milionate di copie.
Parlandone proprio ieri allo stadio con un ragazzo (tra il serio ed il faceto di una palla che rotola si può parlare anche di altro in fondo) mi ha colpito una sua frase: “eh sì quel poco che si vede di arte contemporanea alla fine della fiera la vedi in Italia quasi solo a Milano. Mi fa specie quando mi dicono che “c’è arte a Roma, con i Musei Vaticani, la Cappella Sistina e via avanti”.
No, C’era. Come sempre, il tempo ha decretato che quella fosse arte e probabilmente ne è sopravvissuta un decimo di quello che è stato creato al tempo. Ma se non continui a produrre, ad inventare e proporre, poi ti rimarrà “solo” (metto tra virgolette perché si tratta comunque di pezzi straordinari di pittura, scultura rinascimentale per esempio) quello che gli antichi ci hanno lasciato.
Anche questa è arte (culinaria). La soddisfazione nel bere uno yogurt al mango con cubetti di ghiaccio in stile cocktail sulla spiaggia è stata notevole e l’immagine testimonia appieno lo stato.
Il fratello è un artista, il soggetto ammetto sia meno artistico. Portate pazienza.
Torniamo a Muji. Situato in pieno centro, è rivolto sì ad una clientela consumer ma con un target di spesa piuttosto ampio tanto è vero che all’interno potrete trovare capi di grandi firme.
Ciononostante, come marchio, quindi la produzione propria, rientra in una categoria molto vasta di abbigliamento e non così apprezzata rispetto ad altre dai giapponesi.
A Milano invece spopola, ma non solo Milano. Esco dall’ufficio e trovo ragazze, sciure soprattutto intente ad osservare con occhi sgranati quest’oggettistica così particolare fatta di legno e che non può mancare in un salotto o cucina “trendy”.
Ora il caso opposto.
Zara produce capi anche piuttosto carini, certo non di alta moda e di qualità paragonabile ad altri negozi allineati come prezzi o tipologia di vestiti da uomo.
In Giappone, o perlomeno a Tokyo, è un marchio in rapida ascesa anche perché i nomi italiani sono costosi. Lo sarebbero già di norma, aggiungeteci il ricarico derivante dall’essere in una città con una delle disponibilità pro capite più alte al mondo ed avete chiuso il cerchio.
E quindi avere un cappotto made in Italy seppur con sopra scritto non necessariamente Armani “fa comunque figo”.
Paradossi della globalizzazione
Sempre a proposito di articoli consumer una piccola menzione va fatta anche a proposito dell’iPhone.
So che alcuni di voi non ne potranno più, altri invece, da possessori, magari sono incuriositi da questo accenno, in ogni caso due parole sento di doverle spendere.
Come avrete letto o intuito non solo da questi post, i giapponesi sono consumatori piuttosto esigenti.
Per quanto un prodotto possa essere frutto di un’unica realizzazione per tutte le aree continentali dove debba essere distribuito, la localizzazione (packaging e marketing annessi) resta un parametro fondamentale per stabilire se avrà più o meno successo tra il pubblico di quello specifico Paese.
Nel Sol Levante il tutto è portato ad un livello ancora più “estremo”.
Pensate solo ai videogiochi. Ancora oggi svariate software house producono solo per il mercato interno oppure differenziano i propri titoli, alcuni distribuiti oltreoceano, altri invece rimangono a beneficio unicamente dei potenziali acquirenti giapponesi, questo perché generi come lo shoot’em up non è più in voga in Europa, viceversa è ancora largamente apprezzato (basti vedere cosa offrono le sale giochi nella madre patria.
Apple è uno degli esempi di successo cross-country. Un prodotto, una confezione, una pubblicità. Al resto ci pensa la potenza del brand.
Eppure…eppure non attecchiva. Lo stesso 3GS che ha spopolato in Italia ma non solo è stato piuttosto snobbato.
Bene, mentre noi inveivamo contro i gestori telefonici per la (prevedibile) scarsa disponibilità estiva, Tokyo letteralmente pullulava di iPhone 4.
Questo è uno dei manifesti che campeggiavano sugli edifici di Softbank, una delle maggiori compagnie telefoniche. Senza esagerare, un giorno, mentre mi spostavo nella metro, avevo davanti a me una fila di persone sedute tutte con in mano con il telefono della Apple.
Il motivo di tanto successo? Sicuramente un marketing più aggressivo, lo stesso che ha portato quest’anno i giapponesi ad accamparsi davanti agli Apple Store per avere l’iPad il day one.
Per inciso, il fenomeno del dormire la notte prima del lancio effettivo, è cosa piuttosto comune in Giappone.
Sony con le varie Playstation ha avuto lo stesso “trattamento”. L’animo geek nipponico è piuttosto spiccato.
Ma il marketing non spiega da solo questo cambiamento radicale ed occorre quindi aprire una piccola parentesi, spero utile anche per chi decida di spostarsi, sulla gestione e vendita del traffico telefonico mobile.
Il Giappone, come la stragrande maggioranza dei Paesi industrializzati, fornisce servizi per i cellulari soprattutto con soluzioni a contratto abbinate al noleggio del terminale.
Il canone fisso mensile corrisponde quindi in parte alla possibilità di usare un determinato modello di telefono più tot traffico di chiamate, messaggi e dati.
Va precisato che i dati spesso sono erogati con tipologie flat anche perché le email vengono spesso preferite ai generici SMS (per la limitazione dei caratteri, allegati ecc.) ed è un mezzo di comunicazione molto comune anche fra i giovani giapponesi, tanto che i cellulari i quali potrebbero essere definiti di fascia bassa, comunque gestiscono la posta elettronica senza problemi.
L’unica a rendere disponibili servizi su SIM ricaricabili è Softbank ma scordatevi, come turisti, di poterne acquistare una. Fino a poco tempo fa chiunque poteva comprarne una ed appoggiarsi alla rete interna senza spendere un salasso con il roaming internazionale.
Ufficialmente per problemi legati alla legalità (in pratica le compagnie hanno denunciato un aumento di crimini compiuto in gran parte da stranieri tramite numeri prepagati), ufficiosamente perché lo straniero è ben visto ma fino a un certo punto, hanno “chiuso i rubinetti”.
Ora occorre un visto di sei mesi ed una persona, residente in Giappone, che si assuma l’onere di fare da garante.
Restavano quindi le soluzioni in abbonamento. Apple è riuscita evidentemente a spuntare accordi molto a buon mercato con i gestori di telefonia mobile che di fatto offrono le combinazioni di servizi proprio con l’iPhone abbinato e quindi è chiaro che l’utente medio, trovandosi di fronte a questa opzione sceglie ben volentieri l’iPhone stesso.
Ed ecco spiegata, fino in fondo, la sua massiccia diffusione.
Camminando per le vie di Shinjuku, potete anche avere un assaggio di quale importanza riveste il ruolo della musica in Giappone.
Scuole, negozi fornitissimi di strumenti musicali (Rock Inn per citarne uno ma anche il Music Key di Shibuya se vi piace l’elettronica) ma soprattutto una gamma di generi che raramente potreste sognare di trovare.
In una laterale della via che portava da Shinjuku Sanchome alla stazione principale della metro/ferrovia, mi sono imbattuto in Disk Union.
Non credo possa essere definito esattamente come catena, ma di sicuro, perlomeno io, non ho mai visto un assembramento di tali e tanti tipi di musica tutti assieme.
Solo il negozio principale è costituito da 8 piani ognuno dei quali dedicato specificatamente ad un’area di competenza come Rock progressivo, Indie, Latin, Internazionale, Avantgarde. Viene trattato quasi esclusivamente l’usato ma, la cosa bella che scoprirete con i vostri occhi una volta visitato il Giappone, è la cura maniacale nel conservare l’oggetto non necessariamente perché un domani sarà rivenduto.
CD con la plastica protettiva, spesso anche con la spine card, quella fascetta di carta che avvolge la scatola, molto ricercata dai collezionisti di videogiochi e non solo.
Personalmente adoro i soundtrack (sia di lungometraggi cinematografici che animati) ed i relativi compositori; buttando giù qualche nome posso citare Yoko Kanno, Hans Zimmer, James Newton Howard, Mark Mancina, Joe Hisashi.
Ma, da italiano, Morricone è Morricone. Chiunque abbia letto di sfuggita la sua produzione sa quanto sia vista e l’arco temporale che copre, dalla fine degli anni ’50 in poi, per un totale di (vado a spanne) 300 colonne sonore, molte delle quali non solo risultano out of print ma anche di difficile reperibilità in Italia.
Osservate questa immagine.
Le tre file immortalate erano tutte dedicate al Maestro con titoli come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che vi sfido a trovare in un qualsiasi negozio nostrano di musica.
Notevole davvero. E se poi siete appassionati di vinili allora preparatevi psicologicamente a diventare i migliori amici del POS.
Vi dico solo che ho trovato 45 giri immacolati dei New Trolls, sempre per rimanere sul BelPaese. Purtroppo la foto non rende giustizia ed è chiaramente sfuocata.
Non è quindi un caso se il Giappone, numeri alla mano, risulta il secondo mercato musicale al mondo.
Ok ma vogliamo parlare anche di videogiochi ogni tanto, magari per sbaglio, o stiamo qui a pettinare le bambole?
E allora parliamone, almeno con un accenno.
Nei primi giorni mi sono onestamente concentrato su altro. Credo di averlo scritto anche altrove ma il Giappone è molto altro. Per quanto possiate essere degli appassionati a livelli del fanatismo di retrogaming dovete assolutamente godervi la vacanza e respirare l’ambiente in cui gireresti. I negozi tipici, l’arte, la quotidianità, la lingua, i locali, la vita giovanile.
Il bello di Tokyo è che in realtà, per come sono organizzati gli store, enormi sia dal punto di vista delle dimensioni sia come scelta di prodotti, potete trovare di tutto sempre, a qualsiasi angolo della strada.
E quindi mi è capitato di entrare dentro Tsutaya e rimanere abbagliato dalla quantità di limited edition NTSC-J only anche per Xbox 360. Confezioni giganti, cartonate, plastificate, picchiaduro, sparatutto, old-gen (anche se solitamente si fermano alla PSX), “next-gen”, vecchi, nuovi ed incellofanati, piani interi con scaffali e commessi gentilissimi nello scartare delicatamente il titolo o i titoli agognati.
Akihabara è il caput mundi ma…ma non dimenticate nelle vostre passeggiate di dare un occhio qua e là; potreste trovare a prezzi anche più accessibili delle chicche rimaste celate agli occhi soprattutto dei predatori stranieri. In fondo cacciare un terreno meno battuto, per definizione, da più chance di successo.
Il nome ai più attenti non dovrebbe tra l’altro suonare nuovo.
Nel 2000 infatti SEGA firmò un accordo proprio con Tsutaya per la distribuzione ed utilizzo del Dreamcast sotto forma di noleggio, in stile Blocbuster. Iniziativa originale ma fallimentare come tante delle strategie commerciali che ahinoi quasi affossarono il colosso nipponico. Il risultato però è la creazione, a suo modo, di una edizione, omonima abbastanza difficile da trovare sul mercato del collezionismo vintage. Alcuni addetti ai lavori riportano il numero di 2000 unità ma non c’è coerenza tra i dai, almeno che io sappia.
Una grande passione che abitualmente accomuna i cultori dell’Oriente ed i particolare i “giappofili” sono i manga e degli anime.
Al pari e più dei videogiochi rappresentano davvero un fenomeno sociale di portata nazionale.
Ogni libreria dispone di una sezione dedicata solo all’animazione. La produzione è impressionante e vedendola con i propri occhi si può constatare come l’affermazione “in Italia arriva solo una piccolissima parte di quel che viene creato oltreoceano” corrisponde davvero alla realtà.
Non solo, è la norma osservare i giapponesi che spendono il proprio tempo durante il percorso con i mezzi pubblici (tipicamente nel tragitto casa-lavoro) leggendo o giocando con qualche console portatile.
Persone magari vestite con abiti assolutamente distinti e che voi difficilmente vi aspettereste immersi nel disegno dal tratto caratteristico del manga.
Da anni per mancanza di tempo e passione devo ammettere di non aver più seguito granché l’evoluzione del genere e quindi rimango legato alla produzione dei grandi classici degli anni ’80 (perché in Giappone quello è il periodo di riferimento) tradotti con il lavoro delle varie Granata Press o Star Comics un decennio più tardi.
Alcuni lo sanno, altri no, ma il mio preferito resta JoJo no Kimiyona Boken, tradotto con “le Bizzarre Avventure di JoJo”.
Action alla Kenshiro ma con un’evoluzione del disegno e capacità di mantenere negli anni un intreccio davvero complesso ed originale forse unico nel panorama fumettistico nipponico.
Potevo io, andando nella terra natia, sottrarmi al fascino de fumetto originale?
Ovviamente no e quando sono capitato in Kinokuniya (altri sette piani di roba) apriti cielo.
Serie complete, art book e quant’altro un fan di un titolo o personaggio potrebbe trovare. D’altra parte Hirohiko Araki, l’ideatore e disegnatore della serie è venerato quasi come un dio, alla pari, per intenderci, di un genio come Miyazaki padre.
Anche in questo caso vale l’avviso del “guardatevi intorno perché non esiste solo Akihabara”.
Ed un altro consiglio, forse banale, prima che vi facciate travolgere dal gesto di strisciare VISA sul pinpad, pensate bene alla quantità di oggetti che vorrete riportare in Italia, perché la carta pesa e non poco.
Parimenti, spedire o comprare la franchigia dei kg in eccesso è operazione piuttosto cara.
Oltre ad avere esaudito un desiderio personale ho anche lasciato la soddisfazione a mio fratello (vi ricordo l’interprete tuttofare della situazione) di dire alla commessa “Zenbu Kudasai” ovvero “li prendo tutti”. Crepi l’avarizia come direbbe un mio collega di lavoro.
Shinjuku mostra il suo fascino di giorno e di notte, con le insegne illuminate 24/7, i cinema, i ragazzi variopinti che camminano per le strade ed è stata tappa fissa dei miei tour fotografici.
Ma un’altra meta piuttosto battuta, meta sia turistica sia dei ragazzi, soprattutto adolescenti ed universitari giapponesi, è Shibuya.
Situata a poche fermate di metro è davvero il cuore pulsante della vita giovanile a Tokyo.
Purtroppo il tempo e soprattutto lo spazio sono tiranni e tra le foto e le 3000 parole non vorrei farvi scrollare da qui al Capodanno, per cui ci diamo appuntamento al prossimo tassello de “La Valivia del Videogamer”, sempre su Appunti Digitali.
Ma già lo sapevate, “che ve lo dico a fa’”? ;)