Nei vari post inerenti la “Nostalgia Informatica” siamo soliti trattare di eventi, personaggi e tecnologie che hanno segnato l’evoluzione del mondo informatico.
Effettuando alcune ricerche per continuare il percorso intrapreso mi sono imbattuto in un libro del 1986 di Claudio Pozzoli dal titolo Come scrivere una tesi di laurea con il personal computer, consultabile su Google Books.
Perché vi parlo di questo libro? Semplicemente perché la sua lettura evidenzia la visione acerba che gli italiani avevano dei computer a metà degli anni ’80 e come essi guardavano questi ingombranti oggetti con diffidenza e perplessità.
Il libro è scritto per chi deve utilizzare il computer al fine di migliorare l’esperienza di scrittura della tesi di laurea, non è indirizzato, quindi, ad esperti del settore o a smanettoni ed appassionati.
La prefazione del testo è curata dal grande Umberto Eco che definisce il computer in modo molto schietto e sincero: “
Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti”
così come singolare è la sua definizione di wordprocessor:
“.. una macchina molto spirituale: permette di scrivere alla velocità con cui si pensa e incoraggia, forse troppo, la revisione, la correzione, il perfezionamento, addirittura il perfezionismo”
notate che si parla di “macchina” e non di software perché l’autore parla di calcolatori ad uso verticale per la videoscrittura, oltre che a quelli “personal”.
Siamo in un contesto culturale lontano da quello statunitense in cui i microcalcolatori si stanno sviluppando, tant’è che, in più di un passaggio, il paragone diretto per misurare il valore funzionale di un computer è la macchina da scrivere, pur riconoscendo le forti potenzialità dei “personal”.
Uno dei termini più ricorrenti è quello dello “Standard Industriale” che dall’autore viene identificato nei PC-IBM, destinati a dominare il mercato, anche se lo stesso si dice poi convinto che il mercato si differenzierà tra macchine specialistiche (es. per la videoscrittura) e macchine generiche.
Tutta la seconda parte è dedicata all’analisi di un generico computer “personal” e dei software relativi. E’ interessante notare i riferimenti al Concurrent Dos e a GEM di Digital Research, che dimostrano, tutto sommato, una conoscenza non limitata ai soli trend commerciali, ma anche ad elementi qualitativi basati sulla ricerca e la valutazione dei prodotti migliori per le proprie esigenze.
Framework della Ashton Tate, la prima Suite Office integrata per DOS
Al di là di alcune “imprecisioni” (come annoverare Smalltalk tra i sistemi operativi) l’autore coglie un aspetto importante [pag.118]:
“non m’importa quale sia il miglior sistema operativo … quello ideale è quello che scompare dietro a un sistema integrato che semplifica al massimo il rapporto tra computer e utente.”
Infatti spesso le diatribe tecnologie nascono e muoio tra appassionati ed addetti al settore, ma agli utenti interessa che i prodotti utilizzati siano efficaci, semplici da utilizzare e di reale utilità per le proprie attività, siano esse lavorative o ludiche.
Non manca un passaggio sulla questione della pirateria [pag. 141] e al “buonsenso” nel trattare differentemente chi copia un software per uso privato e chi per scopo di lucro: in fondo, dopo quasi 25anni questa differenziazione è ancora al centro di dibattiti e di sentenze più o meno significative.
Vi segnalo, infine, l’appendice C dedicata all’Olivetti, orgoglio italiano nel settore informatico ed elettronico per molti anni, come raccontato in un precedente post di Alessio, Olivetti M24: quando l’hardware parlava italiano