La valigia del Videogamer torna a parlare giapponese.
Mi ri-scuso per un altro buco del giovedì ma ormai ci siamo. Il salto nel “buio” verso Milano ed una scelta di vita completamente diversa è cosa fatta. Un paio di settimane ancora e mi trasferirò definitivamente, sperando sia stata la scelta giusta. Finché non si prova ovviamente è impossibile dirlo.
Tra l’altro avrò la fortuna di vivere in una realtà dinamica anche una passione come il retrogaming che sono sicuro coinvolge anche voi lettori di questa rubrica.
Chiusa la parentesi personale torniamo a noi ed al viaggio in questa magnifica terra.
Finora il racconto, per motivi legati alla successione cronologica degli eventi, si è concentrato soprattutto sugli aspetti organizzativi e le informazioni che possono tornare utili in un eventuale replay della mia “avventura”.
Con la terza parte invece parleranno ancora di più le diapositive scattate nella capitale del Sol Levante. Entreremo nel dettaglio di cosa mi ha sorpreso maggiormente e le differenze o similitudini rispetto alla nostro stile di vita occidentale.
Il 12 agosto di quest’anno l’atterraggio a Narita era divenuto realtà. I primi giorni, come accennato nella scorsa puntata, non ci siamo granché dilettati in appassionanti camminate su e giù per i quartieri di Tokyo.
Il caldo estremamente afoso e la tracheite di mio fratello (regalo dell’ultima sosta in una località balneare italiana) imponevano di limitare il nostro raggio d’azione soprattutto durante le ore diurne.
Questo però non ha fermato la nostra curiosità e voglia di far parte di una realtà complessa e piena di sfaccettature qual è il Giappone ed in particolare la sua metropoli per eccellenza.
Un po’ a tavolino un po’ seguendo il dogma del “va dove ti porta il cuore” abbiamo circostretto la nostra azione nelle zone di Shinjuku e Shibuya, tra le più attive per quanto riguarda la vita notturna ma non solo.
Con la base di appoggio situata di fronte alla fermata di Sanchome, Shinjuku risultava la mia prima e più logica scelta per iniziare a fotografare la quotidianità nipponica.
Nella preziosa Lonely Planet, la guida che accompagnava tutte le mie uscite, erano segnati diversi luoghi vicini proprio al mio albergo, più o meno tutti radunati nella strada principale la quale porta alla stazione centrale della metro di Shinjuku, e che ricordo essere la più trafficata al mondo.
Alcuni di voi l’avranno capito o forse già visto, altri si chiederanno cosa sia questo banchetto posto di fronte alla vetrina del negozio.
Gli occhiali da vista o da sole tendono a sporcarsi e questo è risaputo. Magari per pigrizia usiamo e solo ogni tanto il panno come se fosse sufficiente. Alitata da chilo, conseguente gesto “metti la cera e togli la cera” e siamo contenti. Invece no, bisognerebbe proprio lavarli, a maggior ragione in una città con grandi concentrazioni di smog. Ed ecco l’idea geniale: mettere a disposizione tutta la strumentazione per farlo al volo, per strada. Vaschette con soluzione salinica per disinfettare, panni usa e getta ed istruzioni al seguito.
Il tutto pensato a “coppie” in modo tale da non creare una coda di accaniti pulitori di occhiali metropolitani.
Se lo facessero in Italia passerebbero probabilmente per idioti, in Giappone, Paese decisamente più civile e culturalmente avanzato del nostro, è vista come una trovata pragmaticamente utile.
La sciura intenta nella sua operazione probabilmente non si aspettava il mio incredulo scatto. Gomennasai.
Poco più avanti, un negozio che fareste difficoltà a trovare in Italia ma probabilmente in tutta Europa.
Per carità le cartolerie esistono ovunque. Ma cartolerie di 8, ripeto OTTO piani?
Dubito fortemente.
Sekaido, questo è il nome del negozio che potete leggere nella foto soprastante, rende possibili le vostre fantasia più sfrenate riguardo materiale da ufficio, scolastico e quant’altro.
Per quanto mi riguarda non ho mai visto una tale quantità e varietà di penne o matite.
La disposizione sempre perfetta e divisa per categorie è l’indice di quanto i giapponesi tengano all’ordine fino ad arrivare, secondo me, ad indici di maniacalità compulsiva.
I quaderni disposti in piedi, a ventaglio e seguendo la scala cromatica dell’arcobaleno ne sono stati forse l’apice. L’effetto era talmente bello e particolare da quasi non invogliare a comprarli per evitare di rovinare quel piccolo gioiellino estetico.
Per riempire otto piani, chiaramente ci voleva ben altro.
E così abbiamo attraversato una zona esclusivamente dedicata alle cornici di quadri, un’altra ai manufatti, un’altra agli strumenti per disegnare, buste e fogli per proteggere gli oggetti spediti (air bubble envelope come le chiamano gli anglosassoni).
La passione per l’Italia ed il calcio italiano in Giappone è risaputa, questa foto che ritrae la maglia fotografata del codino, orgoglio nazionale, in versione interista ne è la riprova.
Quando mi capitava di conoscere ragazzi del posto la scena tipica era la seguente.
“Ciao, piacere Jacopo”
“Oh molto piacere, (inchino) io sono…da dove vieni?”
“Dall’Italia, sono qui in vacanza con mio fratello”
“Oh l’Italia, quanto mi piacerebbe andarci. Da quale città provieni?”
“Udine”
“Oh (sorriso a 36 denti), Udinese!”.
Giuro mi sarà capitata decine di volte. E gli italiani che vivono ormai da un po’ di tempo in lidi giapponesi giurano che la conoscenza calcistica si spinge alle serie minori fino alla C o oltre. Pazzesco.
Poco più avanti a Sekaido, avremmo incrociato due che sarebbero presto diventate tra le nostre mete preferite per incontrarci. Grom ed il Wald 9.
Il primo, per chi non la conoscesse, è ormai il nome di una gelateria fondata da due ragazzi torinesi, Federico Grom e Guido Martinetti. Rispetto ad altre manifatture artigianali, l’accento è posto sulla particolarità della produzione e l’utilizzo degli ingredienti.
L’eccellenza di ciascuna parte geografica del mondo viene acquisita e diventa un nuovo gusto.
In Italia, il Paese per antonomasia quando si parla di gelato, il successo è stato immediato, potete quindi immaginare in Giappone dove viceversa non è così facile trovarne di buona fattura.
A Tokyo, ha aperto da pochi mesi un nuovo locale proprio a Shibuya, esattamente accanto a Shibuya Crossing (di cui parleremo tra poco). Mi riesce difficile quantificare il fatturato anche solo giornaliero di un posto del genere. Beati loro.
Il secondo, Wald 9, è uno dei tanti multisala presenti nella capitale giapponese.
I fan di Miyazaki e dello Studio Ghibli dovranno pazientare ancora un po’ di tempo per l’adattamento italiano del nuovo lungometraggio intitolato, spero di scriverlo correttamente, “Karigurashi no Arietty”.
Il genio Hayao, venerato invece come un dio nella sua terra natia, poteva godere di altisonanti spot e manifesti pubblicitari all’uscita dell’ultima fatica cinematografica d’animazione.
Proseguendo nella nostra camminata, un’immagine ha colpito particolarmente la mia attenzione.
L’omino, dedito completamente alla sua azione, stava pulendo con tanto di detergente e spugnetta abrasiva la pavimentazione del marciapiede.
Abituati (male) ed estranei a tanta dedizione e, ribadisco secondo me, maniacalità nel proprio lavoro ci mostremmo increduli di fronte ad una scena di questo tipo.
Dobbiamo però fermarci un istante e fare un paio di considerazioni.
La prima riguarda la città in questione ovvero Tokyo.
Se consideriamo tutta la conurbazione la popolazione veleggia ampiamente oltre i 20 milioni di abitanti (35 milioni con l’area chiamata “Grande Tokyo”). Numeri di questo tipo impongono rigore ed attenzione fuori scala rispetto alle normali abitudini. Mantenere una città del genere pulita è impresa fuori dal comune non solo se non ci fossero regola di vita sociale adeguate.
Ma sarebbe parimenti impossibile se non vi fosse una cultura che predica il rispetto dell’altra persona come se si trattasse della nostra.
L’unione dell’estremo pragmatismo e della filosofia orientale hanno portato a scelte radicali quali, per esempio, il fatto di non trovare quasi per strada dei bidoni.
E quindi direte voi: “scusa ma se non posso buttare quel che produco, dove caspita lo metto? E soprattutto, non finisco poi per sporcare molto di più così?”
Tutti i giapponesi girano con borse e zaini per poi cestinare i rifiuti quando tornano a casa propria. E proprio perché hanno quel tipo di mentalità, non verrebbe mai loro in mente di buttare delle cose per terra (oltre alle sanzioni pecuniarie piuttosto salate cui incorrebbero).
Se viceversa ci fossero tanti bidoni sparsi qua e là la gente sarebbe invogliata a buttare, magari a casaccio, non centrando il buco del cestino e si formerebbe spazzatura adiacente.
Provate a rifletterci un attimo ed il discorso vi risulterà più sensato di quanto non sembri inizialmente.
La terza ragione, e qui torniamo all’omino di cui sopra, riguarda il sistema pensionistico.
La speranza di vita del giapponese media si attesta ormai ben sopra gli 80 anni, un dato statistico che però ha come controparte un basso indice di natalità ed una difficoltà intrinseca nel mantenere un sistema pensionistico di questo tipo.
Dando lavoro a persone anziane si ottengono due effetti: l’integrazione all’interno di un sistema produttivo e non solo di sostentamento e la possibilità di far sentire importanti ed utili alla comunità anche coloro che, di norma, avrebbero già dato il loro contributo alla società.
Questo è un assaggio della magnificenza delle costruzioni della capitale. Avremo modo di ammirare dall’alto tutta la Skyline, per il momento gustatevi un’immagine della Tokyo Tower, una sorta di replica dell’originale e decisamente più celebre Empire State Building.
I giapponesi non disdegnano copiare il meglio originario di altre parti del mondo e ne avremo la riprova nelle seguenti puntate, con altrettanti scatti.
In particolare va sottolineata coesistenza tra il “vecchio” ed il nuovo, un’armonia sempre all’insegna del rispetto di quel che è stato costruito prima che però deve essere accompagnato dalla necessità di utilizzare tecnologie che facilitano la nostra vita quotidiana.
Ci ritorneremo.
Uno scatto rubato alla gioventù locale.
Abituati ai cartoni animati di una volta potremmo essere portati a pensare che i vestiti tradizionali siano tipici di altri tempi e di altre zone del Giappone.
Invece, con grande sorpresa anche del sottoscritto, sono gli stessi ragazzi nostri coetanei a farne uso nelle camminate metropolitane.
La varietà nell’abbigliamento è uno degli aspetti che colpiscono di più noi occidentali, solitamente abituati ad una vestizione abbastanza “standard” e massificata.
Le sale giochi ed i videogiochi sono un fenomeno di consumo e culturale ormai diffuso da anni ed accettato comunemente senza pregiudizio alcuno.
Il fatto che edifici come la Game Taito Station (presente non solo ad Akihabara ma anche in altri quartieri quali Shinjuku per l’appunto) campeggino in molte parti della città ne è la testimonianza.
Ma non l’unica. Titoli di richiamo quali il nuovo Yakuza (Ryu Ga Gatoku) usufruiscono di poster giganti che tappezzano la città al pari dei nostri politici in periodo di elezioni.
Con quest’ultima immagine concludiamo la terza parte e ci diamo appuntamento, questa volta giurin giurello, alla prossima settimana.
Parleremo ancora di Shinjuku, ci soffermeremo maggiormente sulla pulsante Shibuya e vedremo insieme ancora molte foto.