Mettete il caso che un bel giorno un tizio con l’aria spocchiosa e i capelli riccioluti entri nella stanza di un VC ed esordisca dicendo: “ho trovato la soluzione finale per eliminare l’anonimato e la privacy dalla rete, in modo non violento”.
Immaginate l’interlocutore dall’altra parte della scrivania fra l’incredulo e il divertito, a cui presto iniziano a girare in testa i rulli del registratore di cassa: “Quanto costa intercettare un individuo? Quanto tempo serve per ottenere sul suo conto informazioni di qualche utilità?”
“Vai avanti”
“Da qualche tempo gestisco un sito che la gente spontaneamente riempie di informazioni personali, condividendole per socializzare, con vincoli di privacy praticamente inesistenti. Per quanto idioti possano apparire, crescono a ritmi impressionanti!”
E l’altro: “Interessante” e nel mentre pensa “Quanto altro tempo serve per inferire usi abitudini e comportamenti da informazioni parziali e sconnesse come quelle ottenute da Google? Quali sono i potenziali profitti da pubblicità? E i profili di cooperazione con le autorità governative?”
Questa ipotetica conversazione (a parte la storia degli idioti, che pare autentica) per introdurre un dato solo apparentemente disomogeneo: il Financial Times ha stimato recentemente il valore di Facebook in 33 miliardi di dollari. Si tratta di una somma senz’altro gonfiata dalle voci di una IPO nel 2012, ma che vorrei interpretare in altro modo.
33 miliardi/500 milioni di utenti fa 66 dollari a utente di Facebook. Si tratta di un valore approssimativo e stimato, che con qualche cautela potremmo comparare al valore di una lista di email marketing orizzontale pienamente profilata, con vincoli di privacy inesistenti.
Certo i 33 miliardi di valutazione non sono basati sulle in proporzione modeste entrate da pubblicità 2009, pari a meno di $ 800 milioni (Google, il cui market cap è pari a 168 mld ad oggi, 5x, ha revenue per 6,5 mld, 8,1x).
Prendendo per buono questo approccio, il valore di FB può crescere in due modi: con l’incremento della base utente o con l’approfondimento della profilazione di ogni singolo utente. E qui entra in scena FB Places, lanciato oggi in Italia e pronto per geolocalizzare gli utenti e le rispettive attività, e il molto discusso Facebook Phone.
Che in realtà telefono non è, ma piuttosto rappresenta, nelle parole del fondatore, una sorta di layer social per smartphone, con dentro un sistema di single sign on che lavora in sinergia con Places per alimentare il motorone sociale. Leggiamo le parole di Zuckerberg:
On phones we can actually do something better. We can do a single sign-on if we do a good integration with a phone, rather than just doing something where you go to an app and it’s automatically social or having to sign into each app individually. Those are the two options on the web. Why not for mobile? Just make it so that you log into your phone once, and then everything that you do on your phone is social.
[…]
Our goal is to have Facebook be everywhere and everything be social rather than a specific device
Il concetto di single sign on è estremamente interessante: do il consenso una sola volta, magari me ne dimentico, e da lì in poi tutto quel che faccio, è sociale. Peppe fa avanti e indietro per una strada frequentata da trans? La sua ragazza potrà sapere immediatamente che non è a cena con gli amici come diceva. Si fa un giro ad Amsterdam per fare una bella fumata? Perché nasconderlo alla persona con cui la prossima settimana ha fissato un colloquio di lavoro?
Ecco il trucco: se chiedessi al povero Peppe di fare un check in sui viali di Bologna o al Bulldog di Amsterdam, probabilmente ci penserebbe due volte. Ma con il single sign on e un telefono in tasca, dici sì una volta e hai un pappagallo telematico spione poggiato sulla testa vita natural durante. In altre parole, si fa di tutto affinché la gestione della propria “personalità online” corrisponda con la gestione della propria persona offline.
Dal canto suo il motorone social ingrassa divorando sempre più dati e mentre ingrassa arricchisce, grazie ad una profilazione sempre più ricca e sostanzialmente ineguagliabile dalla concorrenza – Google in primis, almeno non tramite search.
Nel mentre l’utenza cresce in volume e si attrezza con strumenti sempre più raffinati per creare una congruenza totale fra la propria esistenza e il rispettivo riflesso social. Varrà forse la pena di ricordare loro che “se non paghi, non sei il cliente; sei il prodotto in vendita”.
PS Chi si sentisse confortato dalle politiche sulla privacy adottate da FB, farebbe bene a ravvedersi finché è in tempo: Zuckerberg non crede nella privacy.