La comunicazione scientifica (o “science outreach” in inglese) è un’attività che molte istituzioni scientifiche quali università, istituti pubblici e privati hanno scoperto solo ultimamente.
Gli scienziati hanno spesso la tendenza di chiudersi in una propria “torre di cristallo”, in cui svolgono il proprio lavoro senza coinvolgere il resto della popolazione, convinti che chiunque altro non sia in grado di comprenderlo o apprezzarlo. Con il tempo questo atteggiamento ha cominciato a cambiare, per molte ragioni.
In primo luogo gli argomenti studiati dagli scienziati in questione non erano più avulsi dal resto della società umana, ma avevano un’impatto sempre più diretto. Se ne hanno esempi già a partire dall’Ottocento, con lo sviluppo dell’elettricità e delle telecomunicazioni. Il giro di volta in questo senso è stata la seconda guerra mondiale: si è capito a spese di centinaia di migliaia di vite umane, scomparse dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki.
Il progetto Manhattan ha mostrato al mondo come argomenti astrusi e teorici quali la struttura dell’atomo e la fissione nucleare possano avere un impatto fortissimo sulla vita di tutti i giorni. Questo fenomeno ha portato a tre tipi di consapevolezze diverse: da un lato i politici hanno compreso il potere celato dietro la ricerca scientifica di base, dall’altro gli scienziati hanno realizzato che le proprie ricerche, seppur sviluppate seguendo unicamente la sete di conoscenza, hanno un impatto reale nella società umana.
Infine tutto il resto della popolazione ha capito che è importante tenere un occhio aperto su quali sono gli avanzamenti scientifici del proprio tempo, perché da essi può dipendere il miglioramento o il peggioramento della propria esistenza. Il progetto Manhattan rappresenta una delle pietre miliari nella scienza anche per un’altra ragione: è stato il primo grande progetto sviluppato a livello mondiale, in cui fisici di tutto il mondo hanno collaborato assieme, richiedendo finanziamenti molto sostanziali.
Anche questa è un’argomentazione che ha convinto molti scienziati della necessità di comunicare con il resto del mondo, per convinvere persone non direttamente coinvolte o interessate allo specifico progetto scientifico a finanziarlo.
Con gli anni questo aspetto del lavoro dello scienziato ha assunto una vera e propria identità, identificandosi appunto con la divulgazione scientifica. Purtroppo molte persone che dedicano la propria esistenza alla ricerca e allo studio matematico e razionale di un progetto mancano delle qualità necessarie per rendere interessante il proprio lavoro a chi non conosce o non comprende le basi scientifiche di questo lavoro. Spesso gli scienziati si dilungano in discorsi infarciti di termini specifici e gergali che sono una vera e propria lingua sconosciuta per la maggiorparte della popolazione.
Per questa ragione molte università e istituti in tutto il mondo hanno deciso di investire parte del proprio budget nello sviluppo della divulgazione scientifica, creando corsi specifici e aprendo le proprie porte a visite guidate per il pubblico.
Un sistema per far conoscere al mondo l’attività degli scienziati sono i musei scientifici.
In passato i musei scientifici non erano altro che mostre statiche di oggetti usati nella ricerca. Questi musei ricalcano l’idea dei musei classici, in cui si osservano opere d’arte e oggetti di varie fattezze. In questo modo però viene sottolineata la distanza tra la scienza e il visitatore, che viene “tagliato fuori” tramite una bacheca di vetro.
La scienza, di qualsiasi tipo, che sia fisica, biologia, scienza dei materiali o informatica, viene fatta “sporcandosi le mani”. I ricercatori devono provare, toccare, sviluppare un’idea e poi magari distruggere tutto e ricominciare dall’inizio. Osservare staticamente il risultato finale della ricerca non comunica il giusto messaggio al visitatore.
La nuova generazione di musei della scienza viene definita “hands-on”, ovvero il visitatore non è più un mero osservatore ma agisce in prima persona, toccando e provando, per comprendere pienamente il principio che viene spiegato.
Il Deutsches Museum (museo della scienza e della tecnica) di Monaco di Baviera è stato uno dei primi musei in cui veniva incoraggiata l’azione, già dai primi anni del 1900. Si potevano premere bottoni, azionare leve e spostare oggetti, in modo da osservare le conseguenze dirette delle proprie azioni. Presto gli Stati Uniti hanno seguito, così come la Gran Bretagna.
In Italia abbiamo dovuto aspettare parecchio tempo prima che ci si convincesse dell’interesse di questo tipo di soluzioni. Sono molto fiera però di ricordare che il primo museo scientifico “hands-on” a sorgere in Italia è stato proprio nella mia città, l’Immaginario Scientifico di Trieste, che inizialmente era soltanto una mostra stabile.
Nel 1985, quando l’Europa unita era ancora un’idea, a Trieste si è cominciato il primo progetto internazionale. La mostra Immaginario Scientifico è stata esibita alla Cité des Sciences et de l’Industrie di Parigi, per poi tornare in patria dando vita al primo science centre italiano. Per lungo tempo questo sforzo è stato solitario in Italia, ma oggi non è più così. A Napoli, Roma, Genova, Perugia, Foggia è oggi possibile trovare dei musei scientifici all’avanguardia, in cui i principi fondamentali della fisica, della biologia e della tecnologia sono spiegati a tutti, con un occhio di riguardo per i più piccoli.
La Città della Scienza di Napoli, in particolare, è un centro di grande successo: ogni anno è visitato da almeno 500.000 persone. Ha un patrimonio di quasi 100 milioni di euro. Conta su 79 dipendenti, 5 borsisti e 13 collaboratori a progetto. Ha un bilancio di 10 milioni, coperti al 65% – caso unico nel continente – non da fondi pubblici ma operando sul mercato.
È uno dei fiori all’occhiello della comunità scientifica italiana, che troppo spesso ha la tendenza a chiudersi sul passato, sui successi scientifici dei nostri antenati, dimenticandosi che la scienza è futuro, e innovazione, è investimento sui giovani.
Oggi il rischio che la Città della Scienza venga chiusa del tutto è tutt’altro che trascurabile. La Regione Campania sta operando un sostanziale taglio sulle spese e, come spesso accade, i progetti a sfondo educativo sono i primi a pagarne le conseguenze (a chi interessa avere un popolo consapevole?).
Questa scelta dell’Ente regionale campano è tutt’altro che sorprendente, viste le abitudini in Italia, in cui la scienza, la ricerca e lo sviluppo non sono certo al primo posto nelle priorità di finanziamento. È importante però che la popolazione si renda conto della ricchezza che con questo gesto le viene sottratta, le possibilità di riscatto di un Paese che spesso all’estero viene visto quasi con compassione e superiorità.
Abbiamo delle persone di grande valore in Italia, che chiedono solo la possibilità di potersi esprimere e di poter dare il proprio contributo. Giovani pronti a dedicarsi al proprio Paese, chiedendo in cambio solo di veder valorizzato il proprio impegno.
Chiunque voglia esprimere il proprio disaccordo per questa scelta che tappa la bocca alla scienza italiana e impedisce al popolo e ai bambini italiani di toccare con mano la nostra scienza, può farlo firmando questa petizione online.