Nei primi anni ’90, prima che il rullo compressore di Redmond partisse a tutto vapore con Windows 95, la quota di mercato di Apple si misurava con due cifre. Negli anni 2000, oltre a diversificare la gamma di prodotti, Apple ha visto la sua quota di mercato mondiale nel settore computer contrarsi fino a pochi punti percentuali.
In un’epoca in cui il PC Wintel dominava il mercato informatico, con produttori hardware decimati dalla guerra dei prezzi e un solo fornitore di software, Apple focalizzava la sua attenzione su una variabile che, in un bilancio, conta anche più del volume complessivo di incassi: i profitti.
Oggi nel mondo smartphone, fra le ipotesi in circolo ce n’è una che vuole Apple ancora una volta nel ruolo di acceleratore del fenomeno, un fenomero i cui grandi numeri finiranno poi sotto il controllo di altri.
Il parallelo col mondo del personal computing è troppo ghiotto per essere evitato, e molti ci si tuffano a pesce: come dopo l’Apple II il Mac ad Apple sono rimaste le briciole del mondo PC (perlomeno in termini di quota di mercato), così dopo qualche anno di successi per iPhone le resteranno le briciole del mercato smartphone.
A parte alcune considerazioni tecniche esposte qui, alcuni elementi mi inducono a vedere la questione da un’altra prospettiva: ad Apple interessa davvero dominare il mercato?
Quanto resisterebbe la sua filosofia di integrazione verticale a tenuta stagna, a un’indagine antitrust per abuso di posizione dominante (qualora la sua quota di mercato fosse tale da giustificare una simile accusa)?
Di più: quanto spenderebbe di più in R&D per mantenere al sicuro gli utenti di un OS X col 30% di market share?
Seguendo questo ragionamento, l’elevato prezzo d’ingresso in tutti i segmenti che occupa, l’accordo esclusivo con AT&T per iPhone – che secondo una recente analisi le costa più mancate vendite dell’antennagate – ma anche la decisione di non “aprire” OS X, rappresentano un escamotage per evitare l’ipertrofia della sua nicchia di utenza.
Una nicchia tuttavia molto ricca, che le consente di accumulare ingentissimi profitti anche nella produzione di hardware (laddove per tutti gli altri OEM/ODM i margini di profitto sono ridotti all’osso).
Non a caso HP, fresca di acquisizione di Palm, ha manifestato chiaramente l’intenzione di utilizzare WebOS per sfornare una gamma di prodotti integrati fra loro in un ecosistema digitale.
Un’eccezione alla teoria del contenimento della quota di mercato esiste, ed è iPod: sebbene non proprio un prodotto di primo prezzo, iPod è leader incontrastato del suo segmento complice anche un prezzo d’ingresso meno “indigesto” di quello p. es. di iPhone. A mio avviso questa eccezione si spiega con la necessità di fare massa critica per diventare, di fronte alle major, il primo e (quasi) unico interlocutore. Una strategia rispetto alla quale il successo di iPod è certamente funzionale.
Un dubbio rimane tuttavia irrisolto. Jobs nelle sue presentazioni si mostra sempre molto fiero del numero di dispositivi iOS presenti sul mercato: l’installato è in effetti la leva più forte per attirare sviluppatori sulla propria piattaforma e una folta e tecnicamente preparata community di sviluppatori rappresenta la vera forza di una piattaforma. Come conciliare un’ipotetica strategia di contenimento della quota di mercato con l’inderogabile necessità di attrarre sviluppatori?
Se questo dubbio rappresentasse effettivamente un nodo critico nelle strategie mobile della mela, la domanda posta nel titolo diventerebbe dunque: Apple può incrementare la sua quota di mercato, senza farsi più male che bene?